Io sono Li
Andrea Segre
- Italia/Francia
2011
- 1h 36' |
Miracolo
in laguna, miracoli del cinema - L’argomento del primo film di finzione di
Andrea Segre, fin qui ottimo documentarista, sta in poche righe: giovane
immigrata cinese vive uno strano, casto e impossibile amore con un anziano
pescatore slavo di stanza a Chioggia, pure lui immigrato ma ormai
assimilato a quel microcosmo durissimo. Il film dura 96 minuti e li vale
tutti. A differenza di lavori che vantano sceneggiature alte come l’elenco
del telefono e dopo 20 minuti sono già spompati. Questione di tempi, di
volti, di luci, di atmosfere. In breve di densità. E di quella
semplicissima «magia» che si chiama non detto. Se
Io sono Li
ci incanta, pur sapendo (quasi) tutto dall’inizio, è perché gli attori
sono meravigliosi, in testa Zhao Tao e Rade Serbe Dzija, dunque esprimono
mille sentimenti muovendo si e no due muscoli dei viso. E perché Segre,
con la complicità determinante di Luca Bigazzi, estrae dalla laguna un
piccolo poema per immagini (con assoluta sobrietà, senza mai cadere nel
pittoresco). Dosando con accortezza le parole e le poche scene madri per
dare vita a un sottotesto (i due poeti, il gioco di rimandi fra la Cina e
Chioggia, l’amore per il figlio lontano) semplicissimo e struggente. Un
piccolo miracolo d’altri tempi. Che va al cuore del nostro presente. |
Fabio Ferzetti -
Il Messaggero |
Cast
da intenditori, con Marco Paolini, Giuseppe Battiston, Roberto Citran, e
divi stranieri, visti in due film, vincitori di Leone d’Oro a Venezia: nel
2006
Still Life
per l’intensa Zhao Tao, e nel 1994 Prima
della pioggia per Rade Sherbedgia. Tutti
insieme impegnati nel sorprendente
Io sono Li del documentarista Andrea Segre. Presentata alle giornate degli autori di Venezia, Premio Fedic […]
raffinata opera prima per scoprire un cinema di poesia, mix di spettacolo
e profonde emozioni. Sullo sfondo di Chioggia si confrontano una madre
cinese, barista, che vorrebbe portare il suo bimbo in Italia, e un
campionario di varia umanità. Non casuali i sottotitoli, per il dialetto
dei chioggiotti, a testimoniare pregiudizi, e paure. |
Giancarlo Grissini
- Il Corriere della Sera |
Il
mondo del documentario, con i suoi migliori registi, inizia ad affacciarsi
sul mondo del cinema di finzione, quello dei «film a soggetto» (come ci
piace definirlo, perché il termine finzione e fiction non gli si addice).
Non che questa sia una novità, altre volte soprattutto in passato si sono
registrati slittamenti di energie da una parte all’altra (basti pensare
agli esordi di
Antonioni
e Olmi
nel documentario, oppure al tentativo funzionale di Vittorio De Seta),
solo che adesso si nota una felice congiuntura che potrebbe portare nuova
aria al cinema italiano.
Dopo l’esordio di Alice Rohrwacher con
Corpo Celeste, regista che ha fatto
qualche esperienza nel documentario, e in attesa dell’esordio nel film a
soggetto di Leonardo Di Costanzo, di Alina Marazzi e di Bruno Oliviero i
cui progetti sono vicini alla realizzazione, ecco che esce in sala un film
atteso, quello di Andrea Segre, altro documentarista di specchiata fede.
Io sono Li è passato con grande successo a Venezia nelle
Giornate degli
Autori e ha sperimentato il suo pubblico con diverse anteprime prima di
accedere alla distribuzione vera e propria. Segre
ambienta in una Chioggia sospesa e realista la storia di un incontro
impossibile tra una giovane donna cinese, barista in un bar del luogo, e un
maturo pescatore slavo, trasferitosi in città da trenta anni. Due apolidi,
due transfughi, due solitari che si incontrano al di qua e al di là del
bancone di un bar abitato dalla varia umanità locale. Una storia d’amore
impossibile, delicata e poetica. Segre, dunque, si getta nel mondo della
finzione senza mai falsificare neanche per un attimo il dato della realtà
e i suoi tanti anni di militanza documentaria alle prese con storie vere
di immigrazione e integrazione (suoi sono
Come un uomo sceso sulla terra e
Sangue verde, tra gli altri), lo hanno aiutato a vedere il vero oltre la
realtà. Di storie di immigrazione nel cinema italiano ne abbiamo viste
tante, e molte davvero brutte e falsanti (viene in mente
Bianco e nero di
Cristina Comencini), e il motivo spesso è da additare al fatto che quel
mondo non lo si conosce, non lo si capisce. Segre invece con rigore e
sensibilità ci fa entrare in punta di piedi all’interno di un universo
emozionale davvero originale. |
Dario Zonta - L'Unità |
promo |
Shun Li,
immigrata cinese a Roma che lavora in un laboratorio tessile in
attesa dei documenti necessari per farsi raggiungere dal
figlioletto di otto anni, viene improvvisamente trasferita a
Chioggia. Qui inizia a lavorare come barista nell'osteria del
paese frequentata dagli avventori locali (tra i quali spiccano
Paolini e Battiston) e da Bepi, un pescatore di origini slave
(soprannominato "il Poeta") con il quale il rapporto di amicizia
si fa via via sempre più intenso... La cosa non è ben vista né
dagli amici né dalla comunità cinese, ma il destino riserva ai
protagonisti e al pubblico una toccante sorpresa. L'esordio di
Segre nella fiction dopo un'apprezzata carriera di documentarista
gioca le carte della commozione e del fascino di una cornice
sempre suggestiva. Se la sceneggiatura è forse un po' debole e le
caratterizzazioni talvolta macchiettistiche, la pulizia della
regia e la fotografia di Bigazzi fanno "il miracolo". |
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LUX
- dicembre 2011 |
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