Il
divertimento non è più assicurato: la festa sembra aver
imboccato quel percorso che conduce diretto all’alba, dove la
sensazione di stanchezza offusca la vista e quella luce che
trafigge le palpebre è attorniata da un’opalescenza narcotica
che dirada la concentrazione e favorisce una uniformità
emotiva di cui ci si scorderà al risveglio. “In un’ingenua
comparazione tra la vita umana e la vita di un evento,
compiere
18 anni
dovrebbe
rappresentare l’approdo effettivo alla maggiore età anche per
un festival”, ma cosa davvero può rappresentare questo
traguardo, questa cifra simbolica, questa banale e apparente
assunzione di (nuove?) responsabilità è una questione più
articolata, della quale - a posteriori - è il cinema stesso
(come sempre) a fornire alcune delle possibili risposte e
interpretazioni.
Infatti, se
l’esistenza del progetto festivaliero udinese rimane e si
conferma vivo e soprattutto indispensabile per uno sviluppo e
dialogo culturale a livello nazionale, e ormai definitivamente
sempre più anche internazionale, sul piano della qualità, o
meglio, dell’urgenza, del prodotto cinematografico proveniente
dal macroscopico contenitore geografico dell’Estremo Oriente
si affaccia l’evidenza che quell’onda di rinnovamento, fervore
e floridezza che hanno originato l’evento nel 1999 fanno parte
di una stagione conclusa, i cui segni restano evidenti in un
presente che ha subìto una svolta epocale in ambito
commerciale e produttivo.
La Cina, negli ultimi 18 anni, è diventata il secondo mercato
cinematografico mondiale (6,8 miliardi di dollari) al posto
del Giappone, sceso al terzo gradino del podio (2 miliardi di
dollari), e la crescita della Corea del Sud (al settimo posto
con 1,7 miliardi di dollari).
Di fronte alle
cifre si può dunque capire l’importanza commerciale di un
territorio ma di conseguenza anche una forte spinta
all’uniformazione dei gusti e delle caratteristiche formali
sempre più tese verso la facile presa sul grande pubblico.
Prova ne è anche il verdetto del pubblico di Udine che per il
secondo anno consecutivo vede ai primi due posti film coreani
di grande impatto spettacolare: il dramma bellico
A Melody To Remember di Lee Han è il
vincitore del Gelso d’Oro
2016 mentre il secondo posto se l’è aggiudicato la dolcissima
favola spaziale
Sori: Voice
From the Heart di Lee Ho-jae.
>>
Alessandro Tognolo
Un
gradito ritorno quello del
Psyco-Horror Day
a questa 18ma edizione del Far
East Film Festival. Non solo per gli
appassionati del genere, ma anche per chi è interessato ad
esplorare le ultime novità prodotte in un settore che, nella
cinematografia orientale, ha sempre occupato un posto
importante e nel quale si sono misurati autori di rilievo come
Takashi Shimizu, Takashi Miike, Hideo Nakata, Sion Sono, Yong
Ki-jeon, Kiim Ji-woon.
La giornata ha offerto la visione di ben otto film di
nazionalità differenti: Sud Corea, Taiwan, Giappone,
Thailandia, Hong Kong, più un documentario britannico sul
rapimento del regista sudcoreano Shin Song-ok e della moglie
messo a segno negli anni '70 ad opera del dittatore
nordcoreano Kim Jong-il. In apertura e in
chiusura due “exorcist–horror”: The Priest di Jang
Jae-Hyun (South Korea) e Keeper of Darkness di Nick
Cheung (Hong Kong).
Mentre
Keeper of Darkness
vira sulla parodia del genere, rifacendosi ai film di fantasmi
degli anni '80 e puntando su effetti comici e surreali
(racconta la storia di uno stravagante esorcista dai capelli
bianchi, che vive in una casa infestata dai fantasmi), il
primo si attiene rigorosamente al genere e affronta “con
serietà” la problematica tipicamente cattolica inerente al
tema dei “posseduti” e degli esorcismi.
Opera prima del
regista Jang Jae-Hyun,
The Priests
ha avuto un enorme successo in Corea, piazzandosi nella
classifica dei dieci campioni di incasso del 2015. In esso ritroviamo
tutti gli elementi classici del genere: una ragazza posseduta,
i contrasti all'interno delle gerarchie ecclesiastiche sul
modo di procedere, l'esorcista navigato (qui sempre con la
sigaretta in bocca) outsider rispetto alle autorità e il suo
giovane collaboratore, un decano del tutto digiuno delle
procedure, (interpretato dal bellissimo Kang Dong-won, attore
di culto in Corea soprattutto tra il pubblico femminile) a cui
spetta l'incarico di sorvegliare l'operato del collega, ma
anche di accudire il quarto personaggio a sorpresa, un
simpatico maialino nano, che avrà un ruolo decisivo nello
scioglimento del dramma.
>>
Cristina Menegolli
Tre i titoli
"speciali" che il pubblico padovano ha potuto scoprire nel
primo semestre di quest'anno. Nei venerdì di aprile si è vista
(finalmente!) l'opera
monumentale
del regista portoghese Miguel Gomes
Le mille e una notte. Arabian Nights,
acclamata al suo debutto a Cannes (Quinzaine des Realisateurs)
e presentata con successo all'ultimo Torino Film Festival.
Diviso in tre volumi di poco più di due ore ciascuno (Inquieto,
Desolato e
Incantato), il film (in
versione originale sottotitolata)
è una struggente antologia di storie che mescolano realtà e
immaginazione e descrivono, con ragione e sentimento, il
Portogallo di oggi. A raccontarle è Sherazade, eroina e
narratrice spaesata, nel tempo e nello spazio, ma precisa nel
dire al suo re piccole e grandi storie di un popolo e un paese
diviso tra crisi e desiderio di passare, come nei titoli
titoli delle tre parti dell'opera, dall'inquietudine
all'incanto. Miguel Gomes ha solo 44 anni e una creatività che
sa attingere dalla cornice della raccolta di novelle
mediorientali per raccontare il Portogallo contemporaneo.
Paese povero, depresso e in crisi da austerity, rivive in 16
storie contenute in un cine-dispositivo unico nel suo genere
che radiografa poeticamente gli strati socio-professionali del
Portogallo e ne fa dei segmenti indimenticabili, tra crudo
realismo e fantasia spinta. Immaginifico, visionario, potente,
ironico, poetico e politico: in altre parole un film
memorabile e, nel circuito italiano, decisamente emarginato.
Stessa sorte
toccata a
Wilde Salomé
e
Antonia
che hanno avuto occasione di programmazione al Lux in alcune
giornate di maggio. Wilde
Salomé, diretto e interpretato da Al Pacino
(anch'esso
in
versione originale sottotitolata)
proietta il pubblico nella vita personale del grande attore
americano come mai era successo prima, offrendo un ritratto
intimo e profondo della più grande icona del cinema alle prese
con il ruolo più impegnativo mai interpretato: se stesso e il
re Erode. Traboccante di verità e candore,
Wilde Salomé conduce
Pacino in giro per il mondo, a Londra Parigi, Dublino, New
York, Los Angeles, e dentro il suo camerino; niente appare off
limits mentre Pacino esplora le complessità del dramma di
Wilde, nonché i processi e le tribolazioni che hanno segnato
la vita dello scrittore, offrendo al tempo stesso uno sguardo
senza precedenti anche sulle proprie.
Il
caso di Antonia, primo
lungometraggio di Ferdinando Cito Filomarino, è emblematico
delle difficoltà per chi voglia esordire nel cinema italiano:
il problema è anche ”a valle” del processo di realizzazione
poiché le dinamiche distributive costituiscono un ulteriore
ostacolo. L'uscita al Lux è stato un "evento" veneto e
l’occasione per il pubblico di “entrare” nel mondo di Antonia
Pozzi, grandissima poetessa del Novecento italiano. Il film
ripercorre i momenti cruciali della vita della sua vita,
vissuta durante il ventennio fascista, quando, a Milano studia
al liceo Manzoni. L’aspetto è quello di una ragazza
altoborghese, ma lo sguardo tradisce una prospettiva inedita
da cui guarda il mondo, intima e febbrile. L’amore impossibile
per il suo ex professore si trasferisce nelle fotografie che
scatta e sulle pagine che scrive negli ultimi dieci anni della
sua vita: anni di escursioni sulle vette della Valsassina, di
incontri con amici, amanti e professori, sempre sospesa sul
sottile filo teso fra arte e vita. Fino a quando, a soli
ventisei anni, il 3 dicembre del 1938, Antonia Pozzi si toglie
la vita. Fino a quel giorno non aveva mai pubblicato nessuna
delle sue poesie. Un film austero e pudico che meritava una
chance di presenza nel circuito padovano!
Per i cinefili Heimatdipendenti, la cinematografia di
Edgar Reitz
ha ancora lati da scoprire. A Padova ci ha pensato il Lux che
con la minirassegna Edgar Reitz:
non di solo Heimat ha proposto sei titoli
inediti del regista di Morbach, coprendo quarant’anni, dal
1966 al 2006. Il film più lontano nel tempo,
Meizeiten, è l’esordio che
fruttò a Reitz il Leone d’Argento al Festival di Venezia; gli
hanno fatto seguito Cardillac
(1969), Il viaggio a Vienna
(1973), Ora zero (1977) e
Il sarto di Ulm (1979).
Presentato anche l’ultimo lavoro prima di
L’altra Heimat - Cronaca di un sogno,
si tratta di Heimat-Frammenti: Le
donne, un'originale rivisitazione della saga di
Heimat
attraverso gli occhi di una protagonista “minore”, Lulu Simon:
una ricomposizione di un passato fatto di spezzoni scartati
dagli Heimat precedenti. Una specie di “contenuti speciali”
non utilizzati e riorganizzati per comporre un’opera autonoma
che parte dalle riflessioni esistenziali della figlia di
Herman (“certi giorni mi sveglio e ho la sensazione che
tutto sia già successo”) per arrivare a ripercorrere una
storia del passato non affrontata in modo rigorosamente
cronologico, ma vissuta attraverso volti e personaggi,
(principalmente femminili) perfettamente riconoscibili per gli
appassionati della saga: da Clarissa a Helga, da Maria a
Schnüsschen, da Renate a Dorli.
Tutti i film hanno offerto una doppio orario di spettacolo
(18.30 e 21.00), entrambi in versione
originale sottotitolata in italiano
Cannes 69°,
festival complesso, eterogeneo, con luci ed ombre (forse più
ombre che luci) a cominciare da quelle sulla Giuria che in quasi
tutte le sue decisioni mi è sembrata al di sotto delle
aspettative.
La
Palma d'oro innanzi tutto: qui c'è voluto in fondo
poco coraggio e una certa dose di
conformismo militante per attribuirla a
I, Daniel Blake
di
Ken Loach.
Con tutto il rispetto per l'anziano maestro (ottant'anni tra
poco) un film che nulla aggiunge alla sua corposa filmografia.
La vicenda di Daniel, cinquantenne escluso dal circuito del
lavoro per problemi cardiaci e della sua impari kafkiana lotta
contro l'apparato burocratico della Pubblica Assistenza inglese
e della sua momentanea compagna di sventura Kate, due figli,
senza lavoro, senza casa, è sì ben scritta, ben girata, a volte
sinceramente commovente, ma appare scontata,
portatrice una volta di più di una visione anticapitalista
troppo manichea (buoni di qua, cattivi di là…). Tra l'altro con
un paio di imbarazzanti cadute in un melò sopra le righe ( la giovane che, di punto
in bianco, si dà alla prostituzione, per venire, molto
meccanicamente, scoperta da un esterrefatto Daniel - la sua
"belluina" avidità con cui si avventa sulla latta di verdure).
No comment per ora su
Juste la fin du monde
(una delle tante proiezioni "mancate" nella bagarre cinefila: uscirà presto in Italia distribuito da Lucky Red),
a firma dell'enfant prodige
Xavier Dolan, cui è andato il
Grand Prix.
Il
premio (di
consolazione)
per la regia è andato a quello che
mi è sembrato
senz'altro il miglior film del Festival,
Bacalaureat
di Cristian Mungiu
mentre all'altro, ottimo rumeno
Sieranevada
di Cristi Puiu non è andato nessun riconoscimento (in un'utopica
Palma d'oro ex aequo la Romania...). Altro scivolone il
premio
per la miglior attrice, assegnato alla filippina Jaclyn Jose
per
Ma' Rosa
di Brillante Mendoza,
che in fin dei conti interpreta solo sé stessa, a danno delle
straordinarie interpretazioni di Isabelle Huppert in
Elle di
Paul Verhoeven e di Sonia Braga (Aquarius)...
Al di là dei premi ecco comunque alcuni titoli da segnarsi in
agenda:
Julieta
di Pedro Almodovar,
Aquarius
di Kleber Mendonça Filho,
Neruda di
Pablo Larrain, un film davvero straordinario di un regista che
sa rinnovarsi e stupire ogni volta.
E gli italiani? Esclusi dalla rassegna maggiore (forse
ingiustamente vista la presenza in concorso di film deboli,
prima fra tutte
The Last Face
di Sean Penn, inguardabile anche all'occhio più left oriented)
hanno trovato la loro rivincita sia di pubblico che di critica
nella Quinzaine des Réalisateurs.
Uno subito uscito in Italia,
La Pazza Gioia
di Virzì, l'altro, atteso per ottobre,
Fai bei sogni
di Marco Bellocchio, liberamente tratto dal best seller di
Massimo Gramellini: dopo
Sangue del mio sangue,
sembra tornato ai suoi livelli migliori…
Per finire, inspiegabile
la vittoria (Certain Regard)
di un modestissimo film finlandese,
The Happiest Day in the Life of Olli Mäki,
il quale, non solo per essere in bianco e nero, sembrava uno di
quei film sul pugilato di moda trent'anni fa; e sì che anche in
questa rassegna non mancavano alcune corpose realtà da
Hell or High Water
di David MacKenzie, road movie con uno straordinario Jeff
Bridges, al russo
Uchenik
(Le
disciple)
di Kirill
Serebrennikov (storia di un adolescente in crisi mistica che
comincia a comportarsi in ogni circostanza della vita citando
passi della Bibbia), o ancora il francese
Voir du pays
di Delphine e Muriel
Coulin, sul difficile reinserimento di alcune soldatesse reduci
dall'Afghanistan.
Giovanni Martini
(e.l.)
Essere
presenti a
ciné
è come sentirsi un po' dei potenziali
distributori, dei possibili
esercenti, degli spettatori
con un potere immenso: quello di costruirsi un
listino
virtuale da proporre al proprio gusto cinefilo. Così
lascia il tempo che trova la discussione sul prolungamento
della stagione in estate (i pareri sono discordi, la voce
delle "sale" e la voce di produttori/agenti ancora non
sembrano sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d'onda) e il
vivo della kermesse è tutta nella scorpacciata di
trailer in cui individuare la propria lista ideale.
Il cronista-distributore virtuale sceglie allora:
La ragazza senza nome
Jean-Pierre e Luc Dardenne
BIM
The Beatles
Ron Howard LUCKY RED
Jackie
Pablo Larain LUCKY RED
Loving
Jeff Nichols CINEMA
Daniel Blake
Ken
Loach CINEMA
La La Land
Damien Chazelle
01
Pets - Vita da animali
Chris Renaud UNIVERSAL
Cosa
ci fa il
musical
a Mezzano? La verve del
programma culturale della cittadina trentina è una piacevole
sorpresa estiva. Ci eravamo fatti sorprendere in questi anni
dalla simbiosi natura-musica de I suoni delle Dolomiti,
ma la proposta del piccolo comune della Valle del Primiero
spicca per originalità e... continuità. Sono infatti tre anni
che Mezzano ospita la Music Academy International,
prestigiosa accademia per giovani artisti del mondo della musica
che nelle sessioni estive del trentino si preparano per
partecipare al Trentino Music Festival
mettendo in scena una trentina di spettacoli: opere,
musical, concerti.
I
giovani che con la Music Academy International hanno
fatto del Primiero, da giugno ad agosto, la loro residenza
estiva, hanno concertato con le istituzioni locali un intenso
programma di attività offerte gratuitamente al pubblico. Molti
gli eventi "spalmati" tra Mezzano (nel nuovo
auditorium!), Fiera di Primiero e Tonadico:
dalle opere (Il pipistrello, Così fan tutte, La
Carmen)) ai concerti per orchestra e musica da camera, dalle
performance di singoli artisti (su musiche di Mahler, Schumann,
Beethoven, Bach, Chopin, Debussy...) alle rivisitazioni dei
musical di Broadway: è stato
proposto per intero Nine,
ispirato a 8 e 1/2 di Fellini e i giovani allievi si sono
esibiti in alcuni recital che hanno "recitato" le più belle
canzoni dei grandi musical americani, da
Brigadoon a Evita, a La
piccola bottega degli orrori. Un piacere per le
orecchie e per gli occhi.
ezio leoni