Il
cinema d’autore può estrinsecarsi come ossessione di originalità (in
forma e contenuti) o in delicatezza narrativa declinata su stile e
tematiche consolidate. Rientra nella prima categoria
Martin Scorsese
sempre teso ad una costruzione filmica complessa, amara, incalzante;
capace di fotografare con avvincente realismo la soavità e il tormento
di un’utopia musicale (New York, New
York), la violenza di un passato
prossimo o remoto (dalla trilogia Mean
Steets-Quei
bravi ragazzi-Casinò
a
Gangs of New York),
la follia e l’irrazionalità del presente (Taxi
Driver, Fuori
orario), i rimpianti di sempre (L’età
dell’innocenza)…
I volti di Demon e DiCaprio, quando alfine si incontrano, trasudano angoscia; sembra trasparire dai loro sguardi una scintilla risolutiva, ma ogni lieto fine è fuori gioco, è “departed” (“defunto” come sulle lapidi al cimitero). Il meccanismo che stritola i protagonisti risulta inesorabile, perfido e amorale il pessimismo con cui Scorsese li abbandona al loro destino. Occorre allora rifarsi alla distinzione d’apertura per ritrovare un po’ di respiro nella leggerezza autoriale di Woody Allen che in Scoop torna al tocco aggraziato della commedia per scherzare con i collaudati tic del proprio cinema: il gioco del crimine, riprendendo le atmosfere londinesi di Match Point e la verve comica di Misterioso omicidio a Manhattan, la simpatia di un omuncolo pieno di risorse (da Broadway Danny Rose a La maledizione dello scorpione di giada), la cupa iconografia della morte quale immancabile monito esistenziale (Amore e guerra, Harry a pezzi); la nuova musa Scarlett Johansonn (smunta in golfino e occhiali, straripante in costume da bagno) e le solite folgoranti battute: «Emozione nella mia vita significa una cena senza bruciori di stomaco» - «Come nascita sono di confessione ebraica, ma crescendo mi sono convertito al narcisismo»… Sempre amabile, sempre divertente, ma in fondo, stavolta, ripetitivo e non indispensabile. |
ezio leoni - La Difesa del Popolo 12 novembre 2006 |