Match Point |
Come
si conquista un match point? Con abilità, freddezza e… fortuna.
Nel tennis come nella vita, teorizza un
Woody Allen poco incline al sorriso, più
che mai lucido nel raccontare ambizioni, passioni e miserie del suo
protagonista, emblematica “testa di serie” di un vivere civile ovattato
nel lusso, ma saturo di ipocrisia e cinismo. Siamo a Londra, non più
a Manhattan, e al di qua dell’oceano, per la raffinata cultura del
vecchio continente, la colonna sonora non ha più il respiro ritmato
del jazz, bensì l’ariosa melodrammaticità dell’opera lirica. E se
la trama dei rapporti umani trova linfa drammaturgica nei riferimenti
a Dostoevskij e Maupassant, il crudo “lieto fine” sembra farsi beffe
di qualsiasi condanna morale, ben lontano dall’inesorabile senso di
espiazione che aveva segnato le tragedie americane di Dreiser e Stevens
(Un posto al sole).
Allen dimostra di avere tutto sotto controllo, dall’impeccabile soavità
degli ambienti alla saturazione intensa della fotografia (stavolta
Remi Adefarasin), dall’incalzante tragicità del montaggio alternato
agli arcani intrecci della sceneggiatura. Ed anche Chris Wilton (Jonathan
Rhys Meyers), istruttore di tennis in un club esclusivo, sembra saper
ben controllare i propri piani e le proprie amicizie; tra queste quella
con Tom, elegante rampollo della ricca famiglia degli Hewett. È proprio
l’interesse comune per la lirica che permette a Chris di introdursi
in società, di conoscere la dolce Chloe Hewett, di ingraziarsi i suoi
genitori. L’elemento disturbante in tanta preziosa armonia è la sensuale
presenza di Nola-Scarlett Johansson (per lei una delle poche, sardoniche
battute: «Gli uomini dicono che sono speciale» - «E lo sei?» -
«Nessuno ha mai chiesto d'essere rimborsato»), fidanzata di Tom
prima, amante segreta di Chris poi. Una passione travolgente che scombina
la vita familiare e professionale di Wilton, la costella di inopportune
telefonate e imprudenti appuntamenti clandestini, la scardina definitivamente
con una gravidanza inaspettata. Dal soave gioco della commedia alla
crudele architettura del crimine il passo è breve ed è solo momentanea
la disperazione che tra un colpo di fucile e l’altro sembra attanagliare
la coscienza di Chris, implacabile nel suo progetto.
«Succede, nel corso di un match, che la pallina urti il bordo superiore della rete e s'impenni per pochi decimi di secondo. Con un po' di fortuna, cadrà sul lato del campo che vi dà la vittoria. Ma può cadere su quello opposto e allora avrete perduto». La voce del prologo dà, fin da subito, significato alle scelte narrative e stilistiche di Match Point. Per Allen le polarità dell’esistenza non sembrano più essere amore e morte, ma ambizione e desiderio; alla fede viene lasciata solo una flebile, amara citazione, mentre s’insinua lo sgomento di come le vittime sacrificali possano trovare giustificazione anche nei conflitti del privato. Tra la lezione di Strinderg e un tributo a Patricia Highsmith (e ad Hitchcock), citando un classico come Rififi (noir senza speranza - in tv) e la versione in musical di The Woman in White (poliziesco old-britain - a teatro), il perno risolutivo, nella casualità del vivere, non può essere che un imprevisto colpo di fortuna. Forse questa trentacinquesima opera di Woody Allen avrebbe potuto chiamarsi net piuttosto che match point, ma più che nell’incertezza del caso, il senso del tutto sta in quel “punto risolutivo” così cinicamente conquistato. Nel malinconico sguardo di Chris si affacciano forse i turbamenti del rimpianto, ma neppure una furtiva lagrima.
|
ezio leoni - La Difesa Del Popolo 22 gennaio 2006 |
cinélite TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2006 |