La maledizione dello scorpione di giada
(The
Curse of The Jade Scorpion) |
Dopo il piacevole ma disomogeneo Criminali da strapazzo, Allen torna alla commedia d'epoca, al tono retrò di Pallottole su Broadway, al protagonismo carico di auto-ironia che aveva sperimentato con Broadway Danny Rose. Qui fa il verso alla detective story hard-boiled anni 40, mescolandola alle schermaglie sentimental-sessiste stile Hawks (Cary Grant e Rosalinda Russel in La signora del venerdì): C.W. Briggs (il nostro Woody) è un investigatore assicurativo dal fiuto infallibile e dalla vita privata sconclusionatamente standardizzata (atteggiamento macho da gigolò impenitente, cuore inaffidabile). La svolta arriva con l'insediarsi in ufficio di una nuova segretaria (Ellen Hunt) di inquietante modernizzazione (grinta al femminile, in flirt con il principale, scettica verso l'omuncolo Briggs e le sue idee antiquate) e il concomitante intrigo ipnotico con cui un mago-lestofante li coinvolge entrambi. Al di là del calibrato meccanismo poliziesco, La maledizione dello scorpione di giada è una vera delizia di citazioni cinefile (c'è anche una fascinosa Charlize Theron in stile Veronica Lake), di battute sempre esilaranti (sui rapporti tra sessi, sul proprio sardonico autolesionismo), di trovate narrative essenziali ed efficacissime: come quella che porta ad un finale scontato ma sorprendente, capace di sconvolgere la logica delle dinamiche relazionali, ma di assecondare il bisogno affettivo recondito di ognuno. Il lieto fine possibile deve passare per forza tra impervie peripezie sentimentali? Servono davvero parole magiche per aprire gli occhi sull'amore? |