SENTIERI DELLO SPIRITO, PERCORSI DELLO SGUARDO
SACRO E PROFANO. Il
primo termine ha un indiscusso fascino prioritario nel nostro immaginario
culturale, cinematografico in particolare. Vengono subito alla mente lo
stoico apostolato di padre Christian e dei suoi confratelli (Uomini di
Dio) e l’ovattata religiosità de Il grande silenzio, ma il rimando era
troppo ovvio e “attuale”, così come ci sembrava poco originale riproporre
i titoli di un esotismo che il cinemainvisibile aveva messo in cartellone
qualche anno fa con il ciclo
PERCHÉ IL CINEMA D'ESSAI È PARTITO PER
L'ORIENTE?. La linea guida che porta
a questa rassegna è
quella di un itinerario spirituale di dubbio e sofferenza, di ricerca di
una sacralità profonda, dissimulata, compressa, contrastata dalla
secolarizzazione incombente, da un contesto “profano” che tende a relegare
ogni anelito spirituale nello spazio dell’utopia. Proprio la voce
dell’Utopia e del mito di Shangri-La costituiscono l’essenza di
Orizzonte
perduto (1939) di Frank Capra che dirotta i protagonisti del racconto e
gli stupefatti spettatori (oggi come allora) tra le montagne innevate del
Tibet dentro ai confini di "un mondo mite saturo di pace, serenità e
longevità “…
le proiezioni saranno introdotte da Ezio
Leoni, Umberto Curi, Gabriele Pedrina, Andrea Panzavolta, Adone Brandalise
cinema
invisibile
TORRESINO
febbraio-giugno 2011
(IN
BIANCO E NERO!)
Allontanandoci dall’american system e dalle semplificazioni di un cinema
sempre intriso di populismo e spettacolarità (e Capra non è certo un
regista “dello spirito”…), la forza dello sguardo mistico della vecchia
Europa si concretizza in tre capolavori di altrettanti maestri del cinema
del novecento:
Diario di un curato di campagna (1950) di Robert Bresson
(“creare il soprannaturale muovendo dal reale”),
Ordet (1955) di Carl
Theodor Dreyer (“un'opera di liturgica e solenne bellezza”) e
Luci
d’inverno (1963) di Ingmar Bergman (“il dramma del silenzio di Dio”). A
chiudere un cult-movie senza tempo come
Andrej Rubliov (1969), in cui il
tema religioso della dicotomia tra un Dio vendicativo e un Dio
misericordioso si fonde con la riflessione sul rapporto tra l’artista e la
società, il potere, il popolo. Gli squarci colorati dell’epilogo
illuminano di un contrasto cromatico memorabile l’affresco di Andrej
Tarkovski e suggellano lo sguardo, rigorosamente in bianco e nero, del
nostro percorso cinematografico.
(e.l.)