Jutland,
193O la religione ha segnato profondamente i tre figli del vecchio Morten
Borgen: Johannes, studente di teologia, si crede il Messia, vaga per la
campagna danese e Crea scandalo con le sue accuse; il fratello Mikkel,
sposato, ha perduto la fede; il terzo, Anders, rischia di non poter
sposare la donna che ama perché sono di confessioni diverse. I contrasti
si appianano alla notizia della morte della moglie di Mikkel per parto
prematuro. Ma Johannes invoca Dio e accade il miracolo: la donna riapre
gli occhi. La parola o, meglio, il verbo evangelico è protagonista del
penultimo film di Dreyer, dove i temi della follia e della comunione col
divino, già presenti nella Passione di Giovanna d’Arco, tornano con uno
stile austero ed essenziale ma pieno di una straordinaria tensione: un
ritmo lento e cadenzato (che si appoggia su lunghi piani fissi e lente
panoramiche) danno al film «un andamento ipnotico che ottiene lo scopo di
concentrare l’attenzione dello spettatore su piccole porzioni di spazio -
un viso, l’interno di una casa ordinato e pulito, i pochi gradini di una
scala - così da permettere allo sguardo di cogliere l’essenza delle cose».
La scena della resurrezione è una delle più emozionanti della storia del
cinema. Recitazione sottotono e mai forzata, interni spogli e pochi
esterni vuoti: Dreyer ha una capacità di afferrare il mistero e l’orrore
della morte che suscita una reale commozione. |