prima serie
ottobre-dicembre
2007







Ingmar Bergman


seconda serie
gennaio-marzo
2008

 

un profilo

 

 
 

Sorrisi di una notte d'estate (Sommarnattens leende)
Ingmar Bergman
– [b/n] Svezia 1955 1h 35’
PALMA D’ORO AL FESTIVAL DI CANNES

Inizio del secolo: nella casa di un’attrice (Eva Dahlbeck) sono ospiti il suo attuale amante (Jan Kulle) con relativa consorte, e il suo ex amante (Gunnar Björnstrand) accompagnato dalla giovane moglie (Ulla Jacobsson). Il figlio di quest’ultimo (che nella versione italiana diventa il nipote) divide il suo desiderio fra la matrigna e la cameriera. La notte estiva e i film magici smonteranno le coppie per ricostruirle secondo i piani della padrona di casa. «È una commedia o un dramma?» chiede Annv al marito prima di andare a teatro. Bergman mescola la pochade a Pirandello, Shakespeare a Max Ophuls e René Clair per trattare, in una chiave solo in apparenza leggera, e comunque per lui nuova, i temi del rapporto tra i sessi e della ricerca della felicità. Vincitore a Cannes nel 1956, fece conoscere Bergman al mondo.

Il settimo sigillo (Det sjunde inseglet)
Ingmar Bergman – [b/n] Svezia 19561h 35’

Di ritorno dalle crociate, in un mondo sconvolto dalla peste e dalla violenza degli uomini, un cavaliere (Max von Sydow) che ha perso la fede incontra la Morte (Bengt Ekerot) che lo sfida a scacchi. Una famiglia di saltimbanchi gli fa però tornare fiducia nell’avvenire e lui riuscirà anche a proteggerli dalla morte, Il più noto dei film di Bergman (autore anche della sceneggiatura) non è anche il migliore: troppo programmatico il simbolismo, e di maniera (ma per i tempi originale) l’ambientazione in un Medioevo specchio del caos contemporaneo, dove si mescolano sacro e profano, tragedia e farsa. I quesiti metafisici sono trattati in modo un po’ schematico, ma dal punto di vista figurativo il film conserva un fascino innegabile, pieno com’è di richiami pittorici (a Dürer, al Trionfo della Morte dell’Orcagna) e scultorei (alle incisioni in legno di Hans Beham) su cui il regista ricama liberamente. Il ruolo di Jot, il girovago ingenuo, è interpretato dal celebre attore comico Nils Poppe.

Il posto delle fragole (Smult ronstället)
Ingmar Bergman – [b/n] Svezia 19571h 35’
ORSO D'ORO AL FESTIVAL DI BERLINO

L’anziano luminare della medicina Isak Borg (Victor Sjöström) si reca insieme alla nuora (Ingrid Thulin) a ritirare un prestigioso premio accademico: il viaggio è l’occasione per un ripensamento sulla sua esistenza e per un pellegrinaggio a tappe nei luoghi veri e immaginari dei suoi fallimenti. Se la giovinezza è il superamento della «linea d’ombra» conradiana, la vecchiaia è l’arrivo al «posto delle fragole» di Bergman. Il regista ha solo trentasette anni, ma è già capace di amari bilanci esistenziali, non a caso affidati alla sensibilità interpretativa del grande regista svedese Sjöström (qui alla sua ultima apparizione sul grande schermo). Il risultato è un singolare road-movie alla ricerca del tempo perduto, una straordinaria fiaba drammatica sulla solitudine che dal punto di vista formale oscilla tra l’espressionismo onirico (l’incubo iniziale e quello del processo) e il naturalismo quotidiano. Solo alla fine il ritmo sincopato si distende e i sussulti d’angoscia si sciolgono in un sorriso sereno: e la vita mancata del protagonista si illumina attraverso le vite ancora possibili dei suoi giovani compagni di strada. Un film ancora affascinante e significativo, uno dei migliori di Bergman. Molti i premi, tra i quali l’Orso d’oro a Berlino.

Luci d’inverno (Nattvardsgästerna)
Ingmar Bergman – [b/n] Svezia 19631h 21’

Dopo la morte della moglie, il pastore protestante Tomas Ericsson (Gunnar Björnstrand) non solo perde la fede, ma non sa più dare conforto a chi gli chiede aiuto: dopo aver rifiutato l’amore di Marta (Ingrid Thulin), si trova sulla coscienza anche il suicidio del pescatore Jonas (Max von Sydow). Insieme a Come in uno specchio (1961) e Il silenzio (1963) forma la trilogia sul «silenzio di Dio» e sulla difficoltà di comunicare tra gli uomini (la traduzione del titolo originale, infatti, è I comunicandi). Fondato su un paradosso teorico tipicamente bergmaniano (cerca la fede chi dovrebbe averla già trovata e si accorge, in fondo, di non averla mai avuta: «solo mia moglie riempiva il mio vuoto. Sono un povero rottame», dice il pastore), a cui ne fa eco un altro, di natura stilistica (un film sull’incomunicabilità costruito su dialoghi continui), il film - ispirato dalla visione del Diario di un curato di campagna di Bresson - è una delle operi più livide, spoglie e meditabonde di Bergman (fotografato da Sven Nykvist solo con le nuvole o nebbia, è una svolta anche rispetto a Come in uno specchio, definito dal regista «romantico e civettuolo al confronto»). Croce e delizia dei cineforum anni Sessanta, questa «storia ingegnosa non per la sua complicazione ma per la sua semplicità» conserva a tutt’oggi inalterati la sua forza e i suo fascino grazie anche al finale aperto che ha scatenato le interpretazioni più diverse…

cinema invisibile febbraio-giugno 2011 - SENTIERI DELLO SPIRITO

la proiezione sarà introdotta da Andrea Panzavolta

 

Persona
Ingmar Bergman – [b/n] Svezia 19661h 25’

Lo strano rapporto tra un’attrice divenuta afasica (Liv Ullmann) e la lo quace infermiera che si prende cura di lei (Bibi Andersson). Dramma esistenziale sui temi del doppio e della maschera, scritto da Bergman durante un ricovero ospedaliero. Due donne escono dai ruoli che hanno ricoperto fino a quel momento, chi nell’arte, chi nella vita, e si specchiano l’una nell’altra, fino ad arrivare alla perdita completa di sé. Anche il cinema sembra autoinfliggersi il silenzio (all’inizio la pellicola prende fuoco e si accartoccia su se stessa), mentre la televisione parla inviando messaggi di morte (le cronache dal Vietnam, i bonzi che bruciano vivi). Un film sconvo gente, ma anche uno dei più datati di Bergman. Le due interpreti fanno a gara nell’esprimere l’inesprimibile e tagliano insieme il traguardo. La fotografia, come sempre, è di Sven Nykvist.

Sussurri e grida (Viskningar och rop)
Ingmar Bergman – Svezia 19721h 31’

In una villa del primo Novecento, Agnese (Harriet Andersson) sta morendo di cancro assistita dalle due sorelle in perenne conflitto tra loro (Ingrid Thulin e Liv Ullmann) e dalla premurosa governante (Kari Sylwan). Capolavoro insuperato, complesso e limpidissimo allo stesso tempo. «Tutti i miei film possono essere pensa in bianco e nero, eccetto Sussurri e grida. C’è scritto anche nella sceneggiatura, io ho sempre immaginato il rosso come l’interno dell’anima»: le stanze foderate di rosso cupo fanno pensare all’interno della donna e il film potrebbe essere letto come metafora della penetrazione cinematografica nell’universo femminile. Scomposto in quattro figure molto ben delineate e interpretate in modo eccellente («la moribonda, la più bella, la più forte, la servizievole»: Bergman sostiene di aver voluto rappresentare altrettanti aspetti della personalità della madre, senza farne la biografia). Oltre all’uso psicoanalitico del colore, vanno ricordati la rigorosa scansione temporale (orologi, diario, musica) e la geometrica organizzazione dello spazio, che consentono al regista di tenere sotto controllo la forte emotività del racconto. Il titolo è ripreso da una recensione musicale, in cui il critico aveva definito un quartetto di Mozart «come sussurri e grida». La straordinaria fotografia è del solito Sven Nykvist, Marik Vos firma la scenografia, Greta e Karin Johanson i costumi.

Scene da un matrimonio (Scener ur ett äktenskap)
Ingmar Bergman – Svezia 19732h 35’

In sei episodi, la storia del matrimonio di Joban (Ernald Josephson) e Marianne (Liv Ullmann): in Innocenza e panico si dichiarano felicemente sposati da anni; in L’arte di nascondere la spazzatura sotto il tappeto, cominciano a dare segni di incomunicabilità; in Paola, Johan abbandona la famiglia per un’amante più giovane (Gunnel Lindblom); in Valle di lacrime, divorziano; in Gli analfabeti, si incontrano e ammettono i reciproci errori; in Nel cuore della notte in una casa buia in qualche parte del mondo, si rincontrano dopo sette anni, ciascuno con la nuova famiglia, e scoprono di amarsi ancora, ma in modo diverso. Riduzione cinematografica, con risultati tecnici decisamente scadenti (un l6 mm gonfiato a 35), di uno sceneggiato televisivo che ebbe un notevole successo di pubblico e suscitò ampi dibattiti sulla coppia-tipo di matrice borghese. Il racconto è lineare e intenso, il linguaggio è semplice e adatto al piccolo schermo (molti primi piani, pochi movimenti di macchina, prevalenza di dialoghi e totale assenza di colonna sonora), l’ambientazione è tutta giocata sugli interni. Per il materiale e l’impostazione Bergman si è ispirato tanto al teatro nordico (Strindberg, Ibsen), quanto a esperienze autobiografiche.

Fanny e Alexander (Fanny och Alexander)
Ingmar Bergman - Svezia/Francia/RFT 1982 - 3h 17'

3 OSCAR: miglior film straniero, miglior scenografia, migliori costumi

In una cittadina di provincia svedese, all'inizio del secolo, vive la famiglia Ekdahl: quando il padre, direttore di teatro, muore, i due figli, Fanny e il sognatore Alexander sono costretti a vivere secondo le rigide imposizioni del vescovo protestante Vergerus con cui la madre si e risposata, finché un avventuroso intervento della nonna e dell'anti-quario ebreo Isak (Erland Josephson) non ricompone l'armonia familiare, grazie anche all'improvvisa morte del vescovo in un incendio.
Prodotto origi-nariamente per la televisione (cinque puntate per un totale di 312'), è una sorta di film testamento, girato da Bergman in Svezia dopo cinque anni di esilio volontario per problemi fiscali. È una commedia che si colora anche di dramma, dove l'arte bergmaniana perviene a una serena e armonica conciliazione degli opposti della vita, vista come uno spettacolo dove «tutto può accadere, tutto e possibile e verosimile»: al centro una famiglia di artisti di teatro (il padre muore recitando l'Amleto, la vedova riprenderà a recitare col Sogno di Strindberg), «dimostrazione quasi utopica della possibilità di vivere naturalmente anche la morte e le passioni», il cui equilibrio verrà distrutto dall'intervento repressivo del ministro ecclesiastico, caricaturale rappresentazione dell'eccessivo puritanesimo della cultura nordica. La fotografia di Sven Nykvist fa miracoli nel rendere il contrasto fisico fra il calore del mondo teatrale , la magia dell'ambiente ebraico, la freddezza ascetica del rigore religioso.

Paolo Mereghetti - Il Dizionario dei Film


i mercoledì del cinema invisibile TORRESINO ottobre-dicembre 2007
 

 
 
 

Crisi (Kris)
Ingmar Bergman
– [b/n] Svezia 1955 1h 35’

In un villaggio costiero abitato da una comunità conservatrice arriva Jenny, donna di città con un portamento che la gente del luogo individua subito come scandaloso. È la madre naturale della diciottenne Nelly che, fin da bambina, è stata allevata dall’insegnante di pianoforte Ingeborg, una donna semplice e malata. Trasferitasi in città, Nelly inizia una nuova vita, ma la visita della madre adottiva riapre in lei antichi ricordi. Magnifico esordio nel lungometraggio di Bergman, dove la sua esperienza teatrale trova nuova rappresentazione a contatto con il set in un costante e teorico lavoro tra campo e fuori campo.

Il Farinotti

Il volto (Ansiktet)
Ingmar Bergman – [b/n] Svezia 19581h 41’
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA  AL FESTIVAL DI VENEZIA (per la «raffinatezza formale»)

Verso la meta dell’Ottocento, la compagnia dell’illusionista Vogler (Max von Sydow) accetta di esibirsi per i rappresentanti dell’ordine costituito. Beffato dal razionalismo del medico Vergerus (Gunnar Björnstrand), Vogler se ne vendica fingendo di morire. Ma, dopo una sarabanda di orrori e spaventi nel laboratorio dell’autopsia, confessa il suo trucco. Una grazia del re, per il momento, lo salva. Una riflessione sull’illusione dell’arte e sul suo rapporto col potere, considerata una delle opere più personali di Bergman. L’allegoria è certo trasparente e verbosa e von Sydow che, con aria perennemente accigliata, distilla sentenze memorabili, alla prova del tempo fa sorridere, ma, al contrario, non sono invecchiate le parti tenute sul filo del fantastico — tra i migliori esempi dell’espressionismo bergmaniano.

Il Dizionario dei Film (Paolo Mereghetti)

La fontana della vergine (Jungfrukällan)
Ingmar Bergman – [b/n] Svezia 19591h 28’
OSCAR: miglior film straniero

Nella Svezia del Medioevo, tre pastori violentano e uccidono una ragazza (Birgitta Petterson) per poi cercare ospitalità dai genitori di lei (Max von Sydow e Birgitta Valberg) i quali, scoperto l’accaduto, li uccidono. E per miracolo una fonte sgorgherà dove giace il corpo della fanciulla. Ispirato a una leggenda svedese del XIV secolo sceneggiata da Ulla Isaksson, il film riduce al minimo i dialoghi per visualizzare «con una forte fisicità di scenografie e di rituali arcaici le fantasie sacre di Bergman» che qui mette a confronto ragione e passione, cristianesimo e paganesimo (la vendetta è preparata secondo rituali barbarici), tra brutalità primordiali e una raffinata introspezione psicologica. Impregnato di un misticismo severo e aspro, ben più livido di quello del Settimo sigillo (la violenza è inevitabile e la scena dello stupro è di un realismocrudele), è tuttavia uno dei film più ricchi di speranza del regista, come sottolinea la fonte dell’acqua purificatrice (un motivo che ricorrerà anche altrove, per esempio nel finale del Silenzio). La fotografia è di Sven Nykvist.

Il Dizionario dei Film (Paolo Mereghetti)

Il flauto magico (Trollflöjten)
Ingmar Bergman – Svezia 19742h 15’

Il principe Tamino, innamorato di Pamina, per avere la giovane ed entrare nel Regno della Luce, deve superare, armato del suo flauto magico, le tre prove del silenzio, dell’acqua e del fuoco. Stupefacente film-opera sulla partitura mozartiana prodotto per la televisione svedese, che — pur rimanendo fedele al testo — si trasforma in una stimma delle tematiche bergmaniane: il gusto dell’ignoto e dell’inesprimibile, gli intrighi della vita, lo stupore per lo spettacolo, la malinconia anche nei giochi d’amore. Un unicum non solo nella filmografia del regista (che sognava di metterlo in scena da più di vent’anni), ma anche nella storia del genere, e per questo osannato sia dai critici cinematografici che da quelli musicali: il segreto della riuscita è nello straordinario equilibrio tra musica, teatro e cinema, tre arti riunite all’insegna di una rappresentazione intima, giocosa e sensuale, cosciente di essere pura creazione (alla fine di ogni scena appaiono inquadrature di giovani spettatori) e capace di fare di ogni necessità virtù (come nel caso dei «sottotitoli» inseriti direttamente nell’azione mediante cartelli portati dagli stessi personaggi). Da notare la «bergmanizzazione» del personaggio femminile: Pamina non è più una semplice principessa delle favole, ma una donna che entra nel Regno delle Tenebre a resta alta e a occhi aperti, con il coraggio di affrontare la realtà e di cambiare tipico delle figure femininili raccontate dal regista svedese. La fotografia è ancora di Sven Nykvist, la musica è eseguita dall’orchestra della radio svedese diretta da Eri Ericson.

Il Dizionario dei Film (Paolo Mereghetti)

Sarabanda
Ingmar Bergman – Svezia/Italia/Germania/Finlandia/Danimarca/Austria 2003 2h

Trent'anni dopo il capitolo finale di Scene da un matrimonio (1973) in cui erano già divorziati e risposati, Marianne e Johan s'incontrano. È lei, avvocato matrimonialista che, obbedendo a un impulso improvviso, va a trovarlo sull'isola in cui lui si è ritirato. Nelle vicinanze abitano il musicista Henrik, figlio di primo letto di Johan, e sua figlia e allieva violoncellista, l'adolescente Karin, legati da un torbido rapporto incestuoso. Alla tenerezza – mista a rimpianti, rimorsi, rancori – che impregna il rapporto tra i due ex coniugi, si contrappone il disprezzo impietoso di Johan per il figlio, ricambiato con un odio feroce.
Scritto e girato in digitale con tre telecamere HD Sony dall'ottantacinquenne Bergman che, all'inizio delle riprese, annunciò ai suoi quattro “solisti”: “è la mia ultima regia, esigerò il massimo da me stesso e da voi. Sarò senza pietà”. Opera da camera divisa in 10 dialoghi, un prologo e un epilogo, è un altro compendio della poetica bergmaniana, forse il più rarefatto e puro a livello di scrittura. Come il solito, almeno nei suoi film dell'alta età, il nucleo morale di questo mondo è la donna. La sua stoica cupezza è illuminata dalla presenza di Liv Ullmann (1939), mentre nello Johan di Ernald Josephson (1923) Bergman ha trasposto molto di sé stesso. Le musiche sono di J.S. Bach (Suite per violoncello solo) e di J.A. Bruckner ( movimento della 9a Sinfonia).

Il Morandini

i giovedì del cinema invisibile TORRESINO gennaio-marzo 2008