Sorrisi di una notte d'estate
(Sommarnattens
leende)
Ingmar Bergman
– [b/n] Svezia 1955 –
1h 35’
PALMA
D’ORO AL FESTIVAL DI CANNES |
Inizio del secolo: nella casa di un’attrice
(Eva Dahlbeck) sono ospiti il suo attuale amante (Jan Kulle) con relativa
consorte, e il suo ex amante (Gunnar
Björnstrand) accompagnato dalla giovane moglie (Ulla Jacobsson). Il figlio
di quest’ultimo (che nella versione italiana diventa il nipote) divide il
suo desiderio fra la matrigna e la cameriera. La notte estiva e i film
magici smonteranno le coppie per ricostruirle secondo i piani della
padrona di casa. «È una commedia o un dramma?» chiede Annv al
marito prima di andare a teatro. Bergman mescola la pochade a Pirandello,
Shakespeare a Max Ophuls e René Clair per trattare, in una chiave solo in
apparenza leggera, e comunque per lui nuova, i temi del rapporto tra i
sessi e della ricerca della felicità. Vincitore a Cannes nel 1956, fece
conoscere Bergman al mondo. |
Il settimo sigillo
(Det sjunde
inseglet)
Ingmar Bergman – [b/n] Svezia 1956 – 1h 35’
|
Di
ritorno dalle crociate, in un mondo sconvolto dalla peste e dalla violenza
degli uomini, un cavaliere (Max von Sydow) che ha perso la fede incontra
la Morte (Bengt Ekerot) che lo sfida a scacchi. Una famiglia di
saltimbanchi gli fa però tornare fiducia nell’avvenire e lui riuscirà
anche a proteggerli dalla morte, Il più noto dei film di Bergman (autore
anche della sceneggiatura) non è anche il migliore: troppo programmatico
il simbolismo, e di maniera (ma per i tempi originale) l’ambientazione in
un Medioevo specchio del caos contemporaneo, dove si mescolano sacro e
profano, tragedia e farsa. I quesiti metafisici sono trattati in modo un
po’ schematico, ma dal punto di vista figurativo il film conserva un
fascino innegabile, pieno com’è di richiami pittorici (a Dürer, al
Trionfo della Morte dell’Orcagna) e scultorei (alle incisioni in legno
di Hans Beham) su cui il regista ricama liberamente. Il ruolo di Jot, il
girovago ingenuo, è interpretato dal celebre attore comico Nils Poppe. |
Il posto delle fragole
(Smult
ronstället)
Ingmar Bergman – [b/n] Svezia 1957 – 1h 35’
ORSO D'ORO AL FESTIVAL DI BERLINO |
L’anziano luminare della
medicina Isak Borg (Victor Sjöström) si reca insieme alla nuora (Ingrid
Thulin) a ritirare un prestigioso premio accademico: il viaggio è
l’occasione per un ripensamento sulla sua esistenza e per un
pellegrinaggio a tappe nei luoghi veri e immaginari dei suoi fallimenti.
Se la giovinezza è il superamento della «linea d’ombra» conradiana, la
vecchiaia è l’arrivo al «posto delle fragole» di Bergman. Il regista ha
solo trentasette anni, ma è già capace di amari bilanci esistenziali, non
a caso affidati alla sensibilità interpretativa del grande regista svedese
Sjöström (qui alla sua ultima apparizione sul grande schermo). Il
risultato è un singolare road-movie alla ricerca del tempo perduto, una
straordinaria fiaba drammatica sulla solitudine che dal punto di vista
formale oscilla tra l’espressionismo onirico (l’incubo iniziale e quello
del processo) e il naturalismo quotidiano. Solo alla fine il ritmo
sincopato si distende e i sussulti d’angoscia si sciolgono in un sorriso
sereno: e la vita mancata del protagonista si illumina attraverso le vite
ancora possibili dei suoi giovani compagni di strada. Un film ancora
affascinante e significativo, uno dei migliori di Bergman. Molti i premi,
tra i quali l’Orso d’oro a Berlino. |
Luci d’inverno
(Nattvardsgästerna)
Ingmar
Bergman – [b/n] Svezia 1963 – 1h
21’ |
Dopo la
morte della moglie, il pastore protestante Tomas Ericsson (Gunnar
Björnstrand) non solo perde la fede, ma non sa più dare conforto a chi gli
chiede aiuto: dopo aver rifiutato l’amore di Marta (Ingrid Thulin), si
trova sulla coscienza anche il suicidio del pescatore Jonas (Max von Sydow).
Insieme a Come in uno specchio (1961)
e Il silenzio (1963) forma la trilogia
sul «silenzio di Dio» e sulla difficoltà di comunicare tra gli uomini (la
traduzione del titolo originale, infatti, è I comunicandi). Fondato
su un paradosso teorico tipicamente bergmaniano (cerca la fede chi
dovrebbe averla già trovata e si accorge, in fondo, di non averla mai
avuta: «solo mia moglie riempiva il mio vuoto. Sono un povero rottame»,
dice il pastore), a cui ne fa eco un altro, di natura stilistica (un film
sull’incomunicabilità costruito su dialoghi continui), il film - ispirato
dalla visione del
Diario di un
curato di campagna di Bresson - è
una delle operi più livide, spoglie e meditabonde di Bergman (fotografato
da Sven Nykvist solo con le nuvole o nebbia, è una svolta anche rispetto a
Come in uno specchio, definito dal regista «romantico e civettuolo al
confronto»). Croce e delizia dei cineforum anni Sessanta, questa «storia
ingegnosa non per la sua complicazione ma per la sua semplicità» conserva a tutt’oggi inalterati la sua forza e i suo fascino grazie anche al finale
aperto che ha scatenato le interpretazioni più diverse…
cinema
invisibile
febbraio-giugno 2011 -
SENTIERI DELLO SPIRITO
la proiezione sarà introdotta da Andrea Panzavolta
|
Persona
Ingmar
Bergman – [b/n] Svezia 1966 – 1h
25’ |
Lo strano rapporto tra un’attrice divenuta afasica (Liv Ullmann) e la lo
quace infermiera che si prende cura di lei (Bibi Andersson). Dramma
esistenziale sui temi del doppio e della maschera, scritto da Bergman
durante un ricovero ospedaliero. Due donne escono dai ruoli che hanno
ricoperto fino a quel momento, chi nell’arte, chi nella vita, e si
specchiano l’una nell’altra, fino ad arrivare alla perdita completa di sé.
Anche il cinema sembra autoinfliggersi il silenzio (all’inizio la
pellicola prende fuoco e si accartoccia su se stessa), mentre la
televisione parla inviando messaggi di morte (le cronache dal Vietnam, i
bonzi che bruciano vivi). Un film sconvo gente, ma anche uno dei più
datati di Bergman. Le due interpreti fanno a gara nell’esprimere
l’inesprimibile e tagliano insieme il traguardo. La fotografia, come
sempre, è di Sven Nykvist. |
Sussurri e grida
(Viskningar
och rop)
Ingmar
Bergman – Svezia 1972 – 1h
31’ |
In una villa
del primo Novecento, Agnese (Harriet Andersson) sta morendo di cancro
assistita dalle due sorelle in perenne conflitto tra loro (Ingrid Thulin e
Liv Ullmann) e dalla premurosa governante (Kari Sylwan). Capolavoro
insuperato, complesso e limpidissimo allo stesso tempo. «Tutti i miei
film possono essere pensa in bianco e nero, eccetto
Sussurri e grida. C’è scritto anche nella
sceneggiatura, io ho sempre immaginato il rosso come l’interno dell’anima»:
le stanze foderate di rosso cupo fanno pensare all’interno della donna e
il film potrebbe essere letto come metafora della penetrazione
cinematografica nell’universo femminile. Scomposto in quattro figure molto
ben delineate e interpretate in modo eccellente («la moribonda, la più
bella, la più forte, la servizievole»: Bergman sostiene di aver voluto
rappresentare altrettanti aspetti della personalità della madre, senza
farne la biografia). Oltre all’uso psicoanalitico del colore, vanno
ricordati la rigorosa scansione temporale (orologi, diario, musica) e la
geometrica organizzazione dello spazio, che consentono al regista di
tenere sotto controllo la forte emotività del racconto. Il titolo è
ripreso da una recensione musicale, in cui il critico aveva definito un
quartetto di Mozart «come sussurri e grida». La straordinaria
fotografia è del solito Sven Nykvist, Marik Vos firma la scenografia,
Greta e Karin Johanson i costumi. |
Scene da un matrimonio
(Scener ur
ett äktenskap)
Ingmar
Bergman – Svezia 1973 – 2h
35’ |
In
sei episodi, la storia del matrimonio di Joban (Ernald Josephson) e
Marianne (Liv Ullmann): in Innocenza e panico
si dichiarano felicemente sposati da anni; in L’arte
di nascondere la spazzatura sotto il tappeto, cominciano a dare
segni di incomunicabilità; in Paola, Johan
abbandona la famiglia per un’amante più giovane (Gunnel Lindblom); in
Valle di lacrime, divorziano; in
Gli analfabeti, si incontrano e ammettono i
reciproci errori; in Nel cuore della notte in
una casa buia in qualche parte del mondo, si rincontrano dopo sette anni,
ciascuno con la nuova famiglia, e scoprono di amarsi ancora, ma in modo
diverso. Riduzione cinematografica, con risultati tecnici decisamente
scadenti (un l6 mm gonfiato a 35), di uno sceneggiato televisivo che ebbe
un notevole successo di pubblico e suscitò ampi dibattiti sulla
coppia-tipo di matrice borghese. Il racconto è lineare e intenso, il
linguaggio è semplice e adatto al piccolo schermo (molti primi piani,
pochi movimenti di macchina, prevalenza di dialoghi e totale assenza di
colonna sonora), l’ambientazione è tutta giocata sugli interni. Per il
materiale e l’impostazione Bergman si è ispirato tanto al teatro nordico (Strindberg,
Ibsen), quanto a esperienze autobiografiche. |
Fanny e Alexander
(Fanny och
Alexander)
Ingmar
Bergman - Svezia/Francia/RFT 1982 - 3h 17'
|
3 OSCAR: miglior film straniero, miglior scenografia,
migliori costumi |
|
In
una cittadina di provincia svedese, all'inizio del secolo, vive la
famiglia Ekdahl: quando il padre, direttore di teatro, muore, i due figli,
Fanny e il sognatore Alexander sono costretti a vivere secondo le rigide
imposizioni del vescovo protestante Vergerus con cui la madre si e
risposata, finché un avventuroso intervento della nonna e dell'anti-quario
ebreo Isak (Erland Josephson) non ricompone l'armonia familiare, grazie
anche all'improvvisa morte del vescovo in un incendio.
Prodotto origi-nariamente per la televisione (cinque puntate per un totale
di 312'), è una sorta di film testamento, girato da Bergman in Svezia dopo
cinque anni di esilio volontario per problemi fiscali. È una commedia che
si colora anche di dramma, dove l'arte bergmaniana perviene a una serena e
armonica conciliazione degli opposti della vita, vista come uno spettacolo
dove «tutto può accadere, tutto e possibile e verosimile»: al
centro una famiglia di artisti di teatro (il padre muore recitando
l'Amleto, la vedova riprenderà a recitare col Sogno di Strindberg),
«dimostrazione quasi utopica della possibilità di vivere naturalmente
anche la morte e le passioni», il cui equilibrio verrà distrutto
dall'intervento repressivo del ministro ecclesiastico, caricaturale
rappresentazione dell'eccessivo puritanesimo della cultura nordica. La
fotografia di Sven Nykvist fa miracoli nel rendere il contrasto fisico fra
il calore del mondo teatrale , la magia dell'ambiente ebraico, la
freddezza ascetica del rigore religioso. |
Paolo
Mereghetti - Il Dizionario dei Film |
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i mercoledì
del
cinema
invisibile
TORRESINO
ottobre-dicembre 2007
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