Pare
il vecchio gioco del gatto e del topo. Ma chi è chi e cosa? In ballo qui
ci sono la Cia, Al Qaeda, i servizi segreti giordani, gli agenti sul
campo, quelli dietro le scrivanie e quelli dietro i monitor satellitari.
Viva la tecnologia e abbasso l’etica. E il fine che giustifica i mezzi o
invece i mezzi causano la fine? Da un romanzo di David lgnatius,
giornalista del Washington Post esperto di Medio Oriente,
Ridley Scott
ha
tratto un film senza respiro, oltre che senza verità, come dice il titolo
italiano (in America era Body of lies, mentre quello delle bozze
del manoscritto Penetration, sicuramente più adatto al concetto di
infiltrazione americana sul territorio, è stato scartato perché faceva
inevitabilmente pensare a un film pomo). Lo sceneggiatore è William
Monahan, lo stesso che ha fatto finalmente vincere l’Oscar a
Scorsese con
The Departed (e Scott, 16 film e appena 3
nomination, di sicuro ci spera).
Roger Ferris (Leonardo DiCaprio) è un agente della Cia in incognito che
cerca di catturare in Giordania Al Saleem, un pericoloso terrorista che
sta seminando attentati in Europa. Deve vedersela con Ed Hoffman (Russeli
Crowe), il suo manipolatore boss in costante collegamento telefonico da
Washington e col fin troppo presente 1-lani (Mark Strong), capo dei
servizi segreti giordani. Ognuno ha il suo piano e differenti metodi per
realizzarlo. DiCaprio, eterna faccia da ragazzino, chiede aiuto alla barba
per dimostrarsi, se non invecchiato, almeno cresciuto. Ed è assolutamente
credibile, meno che quando si spaccia per arabo. Crowe (per la quarta
volta al servizio del suo mentore, Scott) nasconde i suoi muscoli da
gladiatore sotto una corazza di 23 chili di ciccia in più. L’inglese
Strong, spia elegante alla Andy Garcia, all’anagrafe si chiama Marco
Giuseppe Salussoli, madre austriaca e padre italiano. Più vicino a
I tre
giorni del Condor che a
Syriana,
Nessuna verità, in omaggio al titolo,
combatte una certa ambiguità di fondo (spiare è uno sporco lavoro, ma
qualcuno lo deve pur fare; l’imperialismo è in fondo un peccato veniale)
con due rasoiate verbali: in un raro momento di sincerità, Hoffman
ammette: «Nessuno è innocente in questa merda». Mentre l’impassibile Hani
rivolge all’idealista Ferris, che non ce la fa ad assistere alla tortura
di un prigioniero, un sarcastico: «Benvenuto a Guantanamo». |