Chi
l'avrebbe mai detto? Nel film scelto per inaugurare con fragore il 63°
Festival di Cannes i francesi sono invasori odiosi e intriganti, i loro
soldati usano metodi degni delle SS, i buoni sono gli inglesi di ceppo
sassone opposti a quelli di discendenza normanna, cioè francese, che
depredano e taglieggiano gli onesti britanni all'alba del XIII secolo.
Cioè dieci anni dopo la fine della terza Crociata. Se non riconoscete in
questa tumultuosa tela di fondo l'epoca che vide nascere il mito di Robin
Hood, non c'è niente di strano: il film di
Ridley Scott (fuori concorso) è
un prequel, vuole raccontare l'uomo prima della leggenda, il guerriero
prima dell'arciere, il combattente prima del ribelle. Naturalmente ogni
epoca ha il Robin Hood che si merita, o che le conviene, e quello dell'ex
militare Ridley Scott è un nipote nemmeno troppo lontano dei soldati tutti
d'un pezzo delle Crociate e del
Gladiatore.
È
lontano il ricordo degli arcieri romantico-acrobatici resi leggendari
negli anni '20-30 da Fairbanks e Flynn, lontani anche i due ufficiali
napoleonici legati da un odio quasi metafisico che resero celebre Scott
con I duellanti, Palma come miglior opera prima qui a Cannes nel
1977. Il
Robin Hood
di Scott è piantato anima, corpo e frecce nell'Inghilterra infuocata del
primo Duecento, fra contese dinastiche e tensioni da guerra civile
aggravate dalla costante minaccia francese. È il lato più ambizioso di
questo kolossal cupo e muscolare. Ma è anche quello che gli impiomba le
ali rendendolo a tratti greve e didattico come un film di propaganda
camuffato da cinema d'azione. Ci vuole più di mezz'ora difatti perché
Riccardo Cuor di Leone (il sempre bravissimo Danny Huston) muoia quasi per
caso durante uno dei tanti assedi innescando il macchinoso scambio di
identità che farà scoprire al rude Robin Longstride chi è veramente. Non
senza prima calarsi nei panni - e nel talamo coniugale - di un altro
crociato defunto nel frattempo. È così che il futuro Robin Hood approda
nell'impoverita Nottingham depredata dal famigerato sceriffo. È sempre
così che si trova «sposato» d'ufficio a una bella vedova perseguitata
(intrepida Cate Blanchett) grazie al padre dell'uomo di cui ha assunto
l'identità, un maestoso vegliardo cieco e irredento (un gigionissimo Max
Von Sydow). Chi cerca riferimenti alla geopolitica odierna, e magari ai
neonazionalismi antieuropei, si accomodi. Chi voleva più equilibrio fra
spettacolo e divertimento storico, dovrà armarsi di pazienza... |