Kinatay
Brillante Mendoza |
Kinatay
conferma nuovamente il radicale talento espressivo del suo autore:
Mendoza
adotta una regia realisticamente perturbante per
raccontare l’incubo che può prender atto dal caos di Manila.
Diviso in due piani sequenza, uno di giorno, uno di notte, il film
segue la vita di Peping, giovane studente dell’accademia di
polizia, nel giorno in cui deve sposare la giovane donna che gli
ha da poco dato un figlio. Per ottenere qualche soldo in più,
Peping, già coinvolto in u traffico di droga, accetta senza
pensarci su un lavoro ben pagato offerto da un collega corrotto.
L’incarico porterà Peping a guardare il volto della morte,
divenendo partecipe del rapimento, della tortura e dell’omicidio
di una prostituta. “Ognuno di noi potrebbe essere come Peping.
E’ in parte innocente e ignaro di quanto può essere realmente
pericoloso il mondo. Nonostante possa essere considerato un
complice del crimine commesso, ne è anche una vittima. Diventa, in
un certo modo, testimone della sua stessa morte”.
L’abilità di Mendoza sta tutta nella scelta registica di mantenere sempre lo
sguardo su un piano di realismo esasperato. La ricchezza dei
dettagli della scena (il suono, in particolare, definisce un vero
e proprio ambiente), l’assenza di montaggio, l’irregolarità della
ripresa producono l’interdizione di ogni possibilità di redenzione
morale della visione. Ma soprattutto Mendoza ragiona ancora una
volta sull’assenza di controllo che inevitabilmente affligge le
sorti dell’essere umano. (A.T.)
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Ecco un horror decisamente non convenzionale, visto che si potrebbe
definire come una particolare commistione tra Carpenter e
Rohmer. Claustrofobico, ironico e
senza un attimo di tregua dalla parola, essendo proprio il
linguaggio il soggetto stesso del film, e di conseguenza il potere
del verbo come minaccia e risoluzione dal conflitto che esso
stesso può causare. Girato a basso costo, la vicenda si svolge
interamente all’interno di una piccola stazione radiofonica che
trasmette dagli scantinati della chiesa di Pontypoll, una piccola
città dell’Ontario. Grant Mazzy è uno speaker radiofonico a cui
viene affidata la conduzione di un programma del mattino. Quella
che sembra l’ennesima giornata priva di eventi rilevanti si
trasforma invece in un incubo quando gli abitanti di Pontypool
sembrano cadere in preda a una forma di follia collettiva
provocata da un virus misterioso. L’idea del film nasce a partire
dal libro di Tony Burgess (Pontypool Changes Everything,
1998), dove si descrive di un’infezione che si annida nella
lingua, mentre il modello per la sceneggiatura deriva da La
guerra dei mondi, il radiodramma di
Orson Welles e del Mercury
Theatre trasmesso nel 1938, capace di diffondere il panico per la
minaccia di un’invasione aliena. Nel film di Bruce Mcdonald il
pericolo è costituito dall’improvvisa diffusione di un virus
sconosciuto capace di rendere le persone degli zombie assetati di
sangue. Il gioco è tutto nel fluire ininterrotto e incessabile del
racconto dello speaker, e nel rapporto che egli instaura con i
suoi ascoltatori e con noi spettatori. La paura è una corda tesa
invisibile agli occhi, e la violenza è quasi del tutto affidata
solo ad una personale rappresentazione immaginativa. Alla fine
rimane un’angoscia indecifrabile e sfuggente. “Non abbiamo mai
detto nulla di sensato” dichiara Mazzy, e probabilmente,
proprio in questa provocatoria dichiarazione si esprime il senso
del limite imposto dalla lingua. Un limite fecondo e strutturato,
al quale impunemente non si fa caso, rischiando terribili
conseguenze.
(A.T.)
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