Harold Pinter, classe 1930, è mancato
la notte dello scorso Natale. Grande, il suo impegno esistenziale,
fin dalle origini. Il passato per lui non fu mai un paese
straniero. La citazione da
Messaggero d’amore, un testo di
Hartley, una delle sue migliori sceneggiature letterarie per il
cinema redatte per il regista anglo-americano Joseph Losey, ben si
adatta a quella che fu la sua vita, a quello che fu l’impegno di una
vita.
Figlio di un sarto ebreo, era nato ad Hackney, un sobborgo di
Londra. Con lo pseudonimo di David Baron, a diciannove anni aveva
iniziato a recitare come attore nei drammi di Shakespeare nei
piccoli centri rurali irlandesi e questa esperienza sarà
fondamentale per la sua carriera di drammaturgo. Ottenne
l’attenzione della critica con The Room (La stanza, 1957), dramma claustrofobico con personaggi eccentrici e stralunati alla Ionesco.
I suoi modelli letterari sono Beckett e Kafka e, forse, anche
Pirandello: il silenzio, nelle sue opere, diventa più significativo
del dialogo, mentre prevale un senso incombente di minaccia e di
oppressione.
Ma di quegli anni è il movimento degli angry young men – i giovani
arrabbiati il cui manifesto letterario diviene Look back in anger di Osborne. La corrente, nella Gran Bretagna
del dopoguerra, esprimeva una forte protesta contro l'establishment
culturale ed i vecchi cliché ancora imperanti sulla scena teatrale
inglese.
A cavallo degli anni '50 e '60, attori come lo stesso Pinter ed il grande Alan Bates, insieme con
scrittori e sceneggiatori come per l’appunto, Osborne, Alan Sillitoe,
Terence Rattigan, operarono il rinnovamento delle tematiche e del
linguaggio del palcoscenico di allora.
Su quella scia grande successi teatrali furono poi Il compleanno
(1959), "una splendida festa di morte" (per parafrasare Kubrick), Il
calapranzi (1960), protagonisti una coppia di sicari appostati in un
sottoscala, Il guardiano (1960), dove un barbone alla ricerca di un
rifugio diventa preda di due fratelli rivali e Il ritorno a casa
(1965), sul fallimento delle relazioni familiari e su quella commedia
degli equivoci che è la vita (preferito da Ian McEwan, per il testo
omonimo del quale firmerà poi la sceneggiatura di
Cortesie per gli
ospiti, diretta da Paul Schrader nel '91).
E da ricordare sono pure le straordinarie sceneggiature per i film
di Losey,
Il servo (1963), protagonista un altro mostro sacro del
cinema inglese, Dirk Bogarde, presente anche ne
L’incidente (1967),
testo in cui Pinter è presente in un cameo come attore non
protagonista e il già citato
Messaggero d’amore (1971,
con Alan Bates, Julie
Christie e sir Michael Redgrave).
Ma ‘firma’ anche
Gli ultimi fuochi (1976) di Kazan e
La donna
del tenente francese (1981) di Karel Reisz.
Successivamente il suo lavoro teatrale, si rarefa tra monologhi e
silenzi in atti unici come Old times ('71), No Man’s
Land ('75) e Tradimenti ('78),
lavoro televisivo (con protagonisti Jeremy Irons e Ben Kingsley) raccontato au rebours e basato su di una storia
autobiografica.
Da grande eclettico pacifista e accanito difensore dei diritti
umani, negli ultimi vent’anni aveva abbandonato il teatro per
dedicarsi alla poesia e all’impegno politico.
Solo, tra le ultime fatiche per il cinema piace qui ricordare
Sleuth,
scritto per l’amico Kenneth Branagh, presentato un anno fa alla
Mostra del Cinema di Venezia.
Un saluto quindi ad Harold Pinter che ha attraversato tutto il
Novecento, oltrepassandolo e varcando con leggerezza vaticinatoria
ed aplomb creativo la soglia del 2000.
Il resto, ciò che rimane – per dirla shakespearianamente –
è, per davvero, ormai silenzio.
Maria Cristina Nascosi |