Lasciami entrare (Låt den rätte komma in)
Tomas Alfredson - Svezia 2008 - 1h 54'

     «Te lo dico subito, non posso essere tua amica». Molti grandi amori cominciano con un diniego. Quello di Eli e Oskar però non è un amore come gli altri. Perché entrambi hanno 12 anni, anche se come precisa lei «non ricordo più da quanto». Perché Oskar è perseguitato dai bulli della scuola mentre Eli, così fragile in apparenza, è forte e decisa. E perché, come scopriremo poco a poco insieme ad Oskar, Eli deve bere sangue umano per vivere.
Dimenticate Twilight e qualsiasi altro film di
vampiri abbiate mai visto. Lasciami entrare non somiglia a nulla se non forse a Il buio si avvicina (1987), del quale condivide il taglio per così dire realistico e il gusto per il lato più sordido e quotidiano dell'horror, con i personaggi costretti dalla loro natura a complicate e sgradevoli manovre per sopravvivere. Qui però siamo nella Svezia del 1982, il gigante sovietico è ancora in piedi, il clima di minaccia che pesa sugli abitanti di Blackeberg, periferia di Stoccolma, non è solo metafisico, anzi. Nei bar circolano losers con problemi di alcol, solitudine, disoccupazione. Nelle case vegetano madri separate con figli variamente infelici. Come Oskar, che colleziona ritagli stampa macabri, e prova allo specchio le mosse con cui sogna di vendicarsi dei suoi persecutori. Fino a quando nell'appartamento vicino non arriva quella ragazzina, Eli; accompagnata da un adulto misterioso e un po' ripugnante che sembra un Robin Williams butterato e rivisto da David Lynch. Sarà il padre, un parente, un tutore, o forse orrore supremo un amante? Lasciami entrare si guarda bene dal rispondere. Portando sullo schermo il romanzo omonimo e in certo modo autobiografico di John Ajvide Lindqvist (Marsilio), il talentuoso Tomas Alfredson ha tagliato le informazioni e infittito il mistero. Servo fedele e adorante, il miserando Håkan procura il sangue a Eli scannando malcapitati nel bosco e appendendoli a testa in giù per non perdere una goccia del liquido. Il resto è affidato alla nostra immaginazione, eccitata da una regia rigorosa e sapiente che fonde a meraviglia note sentimentali, suggestioni ambientali e impennate horror che gelano il sangue. Dietro quelle nefandezze pulsa infatti una storia d'amore e di crescita (crescita negata, almeno all'inizio) che converte in orrore i misteri dell'eros e la crudezza del sesso. Amore castissimo dunque, anzi angelicato, E non solo perché Eli e Oskar hanno 12 anni. Nel romanzo agisce infatti, esplicitamente, una banda di pedofili, e il vampirismo diventa una trasparente metafora del trauma. Nel film di tutto questo c'è una traccia appena percettibile (il sesso di Eli, che si intravede un attimo, è tagliato in senso orizzontale, come una ferita). In compenso lo schermo si illumina di sentimenti adolescenziali raramente rappresentati con tanta forza e finezza, sfuggendo tanto l'ipocrisia quanto la dittatura del dover-vedere e dover-sapere tutto. Un autentico gioiello, che "usa" il genere trasfigurandolo in qualcosa di ben diverso (fino a permettersi un'imprevedibile quanto toccante svolta finale). E dal quale si esce turbati come capita di rado.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

     Non c'è dubbio. Lasciami entrare è, ad oggi, il miglior film dell'anno cinematografico. La pellicola di Tomas Alfredson possiede la grazia di chi sa sfiorare le corde della libertà formale senza strafare. Storia di vampiri, questo film artico, innevato, di un gelido bianco esteriore che ovatta rumori, sentimenti, fragilità interiori e distanze sociali. […] Alfredson, assieme all'ispirato direttore della fotografia Hoyte van Hoytema, appoggia la macchina da presa sempre qualche metro prima dei fitti rami e tronchi, come di muri e finestre di bassi caseggiati, inventando un'angolazione ideale, una distanza morale dell'occhio della cinecamera per rendere preziosi fuori vista allo spettatore più debole di stomaco. Più che un'esibizione in dettaglio, quindi, nel quadro appaiono involucri che celano l'inguardabile: quelli architettonici delle case per nascondere la solitudine dei suoi inquilini, quelli fisico-corporei delle vittime di un assassino che sta seminando orrorifico panico in paese. Invece di prendere strade grandguignolesche, come tema portante vorrebbe, Alfredson gira una favola sulla diversità elevando a potenza l'essenza del freak cinematografico. Eli, dannata per nascita, scompare e ricompare quasi soltanto agli occhi di Oskar, a sua volta costretto a sentirsi ai margini dai bulli della scuola. Il vampirismo si carica di tutto il simbolismo erotico che tradizione vuole; il bullismo diventa una fastidiosa piaga sociale; mentre il sangue, elemento ricorrente, lava finalmente l'onta di un'ingiusta emarginazione.

Davide Turrini - Liberazione

cinema invisibile TORRESINO febbraio-giugno 2009

promo

Lo schermo si illumina di sentimenti adolescenziali raramente rappresentati con tanta forza e finezza, sfuggendo tanto l'ipocrisia quanto la dittatura del dover-vedere e dover-sapere tutto. Un autentico gioiello, che "usa" il genere trasfigurandolo in qualcosa di ben diverso (e dal quale si esce turbati come capita di rado), una storia di vampiri di un gelido bianco esteriore che ovatta rumori, sentimenti, fragilità interiori e distanze sociali. Invece di prendere strade grandguignolesche Alfredson gira una favola sulla diversità elevando a potenza l'essenza del freak cinematografico e il vampirismo si carica di tutto il simbolismo erotico che tradizione vuole.