L'incerta situazione di
un cinema "di troppe certezze"
Pietro Liberati
Dopo
un avvio promettente al botteghino, con tutti film presentati in concorso
a Venezia che sono riusciti a conquistarsi una loro visibilità, il cinema
italiano a partire da Novembre ha cominciato a latitare sugli schermi. A
parte le solite commedie di
Natale, ovviamente, che hanno fatto registrare dei risultati discreti, ma
tutti al di sotto delle attese, o comunque inferiori ai
precedenti. Inutile negarlo, è segno di una sfiducia del pubblico, che,
specialmente per quanto riguarda Aldo, Giovanni & Giacomo
(in termini di presenze, è il loro risultato del loro
Tu la conosci Claudia
è il peggiore di sempre), sembra
ormai stanco della solita minestra riscaldata.
Il caso più lampante di sfiducia è quello verso Stefano Accorsi, una delle
vere, e pochissime, star nostrane. Accorsi nella stagione 2004/2005 si è
presentato al pubblico con tre film nuovi, che hanno tutti avuto un
riscontro inferiore alle sue prove, dai tempi de
L’ultimo bacio. Se i
quattro film interpretati successivamente hanno avuto tutti buoni
risultati (mai inferiori ai 3 milioni di euro), i tre di cui sopra,
L’amore ritrovato di Carlo Mazzacurati,
Ovunque sei
di Michele Placido, usciti a poca distanza l’uno dall’altro, e
Provincia meccanica,
rappresentante l’Italia nel Concorso di Berlino 2005, si sono segnalati
per un calo di interesse del pubblico, nell’ultimo caso arrivando
addirittura al disinteresse, non essendo riuscito il film a superare
nemmeno il milione di euro, nonostante il lancio davvero consistente
(quasi 200 copie).
Che cos’è successo? Non è certo colpa di un’invisibilità di partenza,
giacché tutti queste pellicole hanno avuto alle loro spalle delle
distribuzioni che ci hanno creduto fino in fondo. Verrebbe da dire che
alcuni di questi film hanno esagerato. Troppo.
Ovunque sei è una storia d’amore che cerca di evolversi verso il
metafisico. Personaggi che spiccano il volo, dialoghi che si inabissano,
un plot che sembra andare da nessuna parte: dopo mezz’ora, Ovunque sei
parte per la tangente, mosso da una smodata ambizione, senza
che nessuno possa più fermarlo, e il pubblico esce dalla sala confuso,
senza sapere bene cosa ha visto e se ha speso bene i suoi soldi.
Provincia meccanica
di Stefano Mordini tenta la strada dell’iperrealismo, con una famiglia ai
margini alle prese con piccoli problemi quotidiani. Il regista è
esordiente, e si sente, anche se ha una bella sensibilità nel dirigere gli
attori; ma a metà film la storia comincia a ripetersi troppo, alcune
trovate non funzionano e i personaggi brancolano nel buio senza che
nessuno capisca davvero perché agiscono in un determinato modo. Qualcuno
in sala
arriva a sbuffare e a guardare l’orologio, ed Accorsi, per la
seconda volta (terza, se si conta il sopra citato L’amore ritrovato, che
ha deluso le attese) marchia a fuoco un film "non riuscito".
Difficile dire se il pubblico se lo ricorderà o meno all’uscita di
Romanzo criminale, il prossimo film di Michele Placido sempre con
Accorsi. Però è bene ricordare che attori anche più noti hanno dovuto
affrontare periodi di crisi di popolarità a causa di film sbagliati. E’
una situazione, quella contraddistinta da Accorsi, che accomuna però il
cinema italiano in genere, in questi ultimi mesi: quella, per l’appunto,
di partire per la tangente, senza preoccuparsi che qualcuno (gli
spettatori in generale: qui parliamo anche della critica) continui a
seguire il discorso.
Non a caso si può citare un film come
Cuore Sacro
di Ozpetek, un autore che ha incontrato un crescente
quanto sorprendente successo. Il suo ultimo film inanella citazioni su
citazioni (da
Europa
‘51 a
Teorema), enuncia una serie di luoghi comuni sulla carità e il
buon cuore, e parte per la famosa tangente di cui sopra dopo appena 20
minuti, il tempo di abbozzare personaggi che, anche qui, cominceranno a
comportarsi in modi incomprensibili nella logica corrente, con una
perniciosa tendenza alla ruffianeria buonista scivolando in sfrenatezze
kitsch. Difficile giudicare (al di là dell'iniziale trend "buonista" degli
incassi) come verrà accolto alla fine Cuore sacro: che tenta sì un
approccio con lo spettatore, ma nel modo più disonesto e meno coraggioso,
quasi offensivo nel suo semplicismo piccolo borghese.
L’impressione generale è quella di un cinema che, dopo essere riuscito a
riavere dalla propria parte il favore del pubblico pagante, si è chiuso
nuovamente in sé stesso, senza preoccuparsi di comunicare effettivamente.
E non si dica che trame poco definite (nel senso classico) e personaggi
ondivaghi senza una vera mèta portano sempre necessariamente in questi
lidi nebbiosi e melmosi, perché i due migliori film nostrani della
stagione, Le chiavi di casa
e Le conseguenze dell’amore, accompagnano
placidamente lo spettatore in un viaggio che lo arricchisce e,
innanzitutto, lo rispetta. Il lavoro di un regista si misura non solo
sulla propria coerenza d'autore (in idee e stile), ma anche, appunto, nel
rispetto per il buon gusto del pubblico e per il senso del cinema! |