Le chiavi di casa,
l’ultimo film di
Gianni Amelio, presentato con successo alla 61a Mostra
del cinema di Venezia e ora in programmazione nelle sale, è un grande film.
Dove sta il pregio del lavoro di Amelio? Prima di tutto sul lavoro che il
regista fa sui toni.
Il tono de
Le chiavi di casa, è dotato di una misura capace di non
produrre stonature. La storia che stride già nella sua sinossi: un giovane
padre che non è mai stato capace di affrontare il figlio affetto da tetraparesi spastica diatonica, trascorre alcuni giorni con lui in
percorso che andrà dall’Italia a Berlino, per concludersi in Norvegia.
In queste poche righe di riassunto incontriamo già dei topoi del cinema:
la struttura del viaggio, il tema della conoscenza, il problema dell’handicap.
Affrontare questi luoghi comuni al cinema può essere pericoloso proprio
per i toni utilizzati. Basti ricordare l’istrionismo sopra le righe
di interpretazioni superbe di divi come Dustin Hoffman in
Rain Man
o Daniel Day Lewis ne Il
mio piede sinistro (puntualmente premiate
con l’Oscar). Interpretazioni che si portano dentro l’ombra del sospetto
del ricatto morale. Nei personaggi de
Le chiavi di
casa,
il padre Gianni, interpretato da Kim Rossi Stuart, e quello di Paolo
interpretato da Andrea Renzi, che nella vita è un campione di nuoto
per disabili, e che nel film ha una simpatia e un carisma che superano
di gran lunga l’ottima interpretazione dell’ attore adulto, non vanno
mai oltre. Pianti, litigi, sfoghi, abbracci non sono mai gesti eclatanti,
non vengono mai sottolineati dalla musica, che nel film è semplicemente
un accompagnamento e mai un ingombro.
Le chiavi di casa è tratto dal libro Nati due Volte di Giuseppe Pontiggia,
Amelio sa che per portare sullo schermo un grande romanzo, bisogna avere
il coraggio di tradirlo, di catturare il senso della storia e poi di
trasformarlo in immagini. Cambia gli elementi della trama, mette in scena
un’altra storia, e dando il suo nome al personaggio del padre, sottolinea
una sorta di nuova paternità della trama.
Spesso il bello dei film è quando si ribaltano le posizioni. Le chiavi di
casa diverse volte inverte le direzioni, smentisce le aspettative. Dato
per assodato che tra i due protagonisti esiste un forte contrasto, una
differenza evidente, verrebbe da pensare che i giorni che passeranno
insieme andranno a colmare, o in qualche modo a facilitare la loro unione.
La direzione invece non è conciliante, la figura del padre Gianni più
trascorre il tempo e più si rende conto della difficoltà di stabilire,
accettare, vivere con questo figlio. Il bellissimo personaggio
interpretato da Charlotte Rampling, madre che con dolore sembra aver
accettato la malattia della figlia, simile se non peggiore a quella di
Paolo, sarà per Gianni una sorta di Virgilio notturno, pronta a spiegare
all’uomo tutte le difficoltà che andrà ad affrontare con il tempo. Amelio
mete in bocca a questo personaggio frasi di questa potenza:“ho desiderato
che morisse”, “stare in ospedale è un lavoro sporco che tocca alle madri,
gli uomini hanno paura. Hanno paura di soffrire, di toccarli, trovano
mille impegni pur di non venire qui”, “la malattia lo proteggerà dagli
altri, invece è lei che si deve preparare a soffrire”. Gianni ascolta le
parole della donna. Gianni in terra straniera, senza conoscere una parola
di tedesco vaga per la città e per l’ospedale senza capire quello che gli
viene detto. Gianni ha bisogno di imparare, di capire, non a caso il film
andrà a chiudersi nei pressi della scuola frequentata dall’ amica di penna
di Paolo, che vive in Norvegia. Nelle ultime scene Gianni sta guidando la
macchina, Paolo disturba la guida mettendo in continuazione la mano sul
volante e suonando il clacson. I due indossano pantaloni comodi e felpa,
tutto intorno è il verde della Norvegia, in macchina suona una canzone di
Vasco Rossi dal titolo: Quanti anni hai?.
C’è tutto il film in questa sequenza. C’è il viaggio, questo viaggio è
disturbato da Paolo, fa sbandare, dà fastidio, la terra attorno è
straniera, perché avere un handicap è come essere un po’ stranieri,
diversi dalla gente che sta attorno, le due felpe sono la confidenza, la
morbidezza di tessuti e di rapporti che con il tempo si stanno rendendo
piacevoli, la canzone di Vasco ha nel titolo una domanda: quanti anni hai?
Una domanda; se fosse Gianni a chiedere al figlio: quanti anni hai? Quanti
anni sono stato via? Quanti anni hai di differenza rispetto ai ragazzi
della tua età? Quanti anni ci vorranno per amarti fino in fondo? Una
domanda che trova la risposta pochi minuti dopo. Il pianto di Gianni viene
consolato da Paolo. Paolo asciuga le lacrime e rimprovera Gianni con la
simpatia innata della quale è dotato. A quel punto è compiuto anche
l’ultimo ribaltamento che è anche una risposta. Gli anni non contano,
Paolo avrà sempre i suoi anni che saranno diversi da tutti gli altri,
Paolo avrà bisogno del padre quanto il padre di lui. Con la stessa forza. |