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(aprile) |
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n° 10 |
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Apriamo
questo decimo numero con le cronache di Udine
e Bellaria
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Cinema vivace e innovativo che va (in parte) a tamponare l'invadenza
commerciale nel circuito distributivo italiano. Se giugno segnala
alfine alcune opere intense e di vera autorialità (Benvenuto
Mr. President, Oro
rosso, El
abrazo partido, Primavera,
estate, autunno, inverno... e ancora primavera, L'angelo
della spalla destra) il cinema d'essai, in questi ultimi
mesi, è stato messo
all'angolo (al botteghino) da blockbuster come Troy,
The Day After
Tomorrow, Harry Potter e il prigioniero
di Azkaban a cui solo I diari
della motocicletta ha saputo rispondere con autorevolezza.
Ora i Coen
sono riusciti a dare una scossa, ma, per restare al nostro osservatorio
padovano, solo qualche settimana fa la tanta attesa multisala
Portoastra
(davvero ben strutturata per architettura e qualità audio/video) occupava
ben 5 dei suoi sette schermi proprio con le proiezioni di Troy,
The Day After Tomorrow ed Harry Potter... |
Il Far East Film di Udine (per gli amici FEF, quest’anno si trattava della sesta edizione) non è mai stato un festival da grandi riflettori. I giornalisti che ci vanno non hanno il dente avvelenato, attori e registi fraternizzano col pubblico di loro spontanea iniziativa, il pubblico stesso non è trattato come bestiame (viene chiamato in prima persona a votare i film!) e ultimo, ma non meno importante, l’organizzazione è impeccabile e “amichevole”. Altra cosa fondamentale, al FEF nessuno cerca il capolavoro: ci si va per aprire gli occhi su cinematografie lontane, e che spesso non trovano posto (o ne trovano poco) nei festival, maggiori o minori. Tralasciando Hong Kong e Corea del Sud, ormai sotto i riflettori da anni, visti anche i moltissimi premi conquistati da quest’ultima in giro per l’Europa (ultimi il Gran Premio della Giuria a Cannes per Oldboy di Park Chan Wook e il Premio per la Regia a Berlino per Samaria di Kim Ki Duk), gli spettatori della manifestazione udinese, l’ultima edizione si è svolta dal 23 al 30 Aprile, hanno potuto dare un’occhiata ad alcune perle giapponesi (come The Twilight Samurai di Yamada Yoji, candidato all’Oscar, e il demenziale Kisarazu Cat’s Eye), qualche exploit filippino (niente male Keka, una specie di La sposa in nero virato in commedia, poca cosa gli altri due prodotti presenti), qualcosa dalla Thailandia (tra cui l’applaudito, ma non eccelso, Beautiful Boxer di Ekachai Uekrongtham, visto nel Panorama di Berlino 2004) e una interessante selezione di film cinesi, che mostra come questo Paese conosca oggi una piccola serie di nuove leve da tenere d’occhio: Nuan di Huo Jianqi e The Coldest Day di Xie Dong si sono rivelati due dei migliori film del Festival, assieme al discusso Baober in Love, un’eloquente metafora della modernizzazione selvaggia in atto in Cina in questo momento. Accanto alle sezioni dedicate ai vari paesi (grande assente di quest’anno è stata Taiwan), due retrospettive, accanto ad un piccolo omaggio al cinese Zhang Yuan attraverso i suoi tre ultimi lavori. La prima mini-personale ha riguardato Ichikawa Jun, maestro giapponese praticamente sconosciuto in Occidente, di cui sono stati proposti quattro lavori: se nei primissimi giorni non sono stati molto apprezzati Busu (1987) e Tokyo Marigold (2001), piccole storie di una società urbana timida e piccolo borghese, in seguito il pubblico del FEF ha salutato con grande calore lo straordinario Dying at the Hospital (1993), che incrocia microstorie in campo lungo di pazienti che stanno morendo all’ospedale, e lo scioccante Tadon & Chikuwa in cui un tassista prima e un delirante intellettuale poi apprendono di essere arrivati al capolinea di una mediocre esistenza.
Ma la retrospettiva più succosa interessava
Chor Yuen, maestro dei generi
di Hong Kong, dalla produzione sterminata (oltre 100 pellicole che
spaziano dalla commedia sociale al gangster movie passando per tutto
l’esistente, e con preferenza per il melodramma), di cui erano presenti 11
opere esemplificatrici: dal personalissimo giallorosa The Black Rose
(1965) al capolavoro The Winter Love (1968, senza dubbio il film più bello
dell’intera manifestazione), alla commedia sociale House of 72 Tenants,
per arrivare al wuxiapian (film di cappa e spada) Killer Clans (1976), e
soprattutto allo splendido Intimate Confessions of a Chinese Courtesan
(1972): chi pensa che Tarantino sia un genio dovrebbe
guardarselo e
riguardarselo, per capire quanto il regista americano abbia da qui
scopiazzato, per non dire bassamente plagiato, nel suo
Kill Bill (compreso
il finale sulla neve del volume 1, identico!). Forse quest’anno sono mancati nuovi grandi film (l’edizione 2003 si era conclusa con un capolavoro assoluto, PTU di Johnnie To ), ma la qualità media è stata sicuramente buona, anche se con qualche piccola delusione, come i due film di Johnnie To proiettati in apertura e chiusura, Running On Karma e Turn Left Turn Right, sicuramente due prodotti non all’altezza del grande regista hongkonghese, o come il pompato Legend of the Evil Lake, wuxia coreano costoso quanto mediocre. Niente che non faccia venire la voglia di tornare a Udine anche l’anno prossimo, comunque...
Pietro Liberati |
Ventidue sono gli anni che ha compiuto
quest’anno Anteprima per il Cinema
Indipendente
Italiano,
Film Festival di Bellaria.
Dopo varie fortune – è sopravvissuto all’infausto accorpamento di
AdriaticoCinema che, riunendo tre cine-festival, il Mystfest di Cattolica,
Riminicinema e, per l’appunto, Bellaria, è riuscito a far scomparire i
primi due – è approdata alla tri-gestione di Morando Morandini, Antonio
Costa e Daniele Segre da tre anni realisatéurs del loro mandato con rigore
ed apertura mentale (anche pragmatica) davvero encomiabili.
Nel cinema di Michele Emmer le cifra stilistiche e contenutistiche ricorrenti sono la ricerca metodologica ed il senso dell’insegnamento che pervadono ed impreziosiscono tutto il suo percorso creativo: una metodica accattivante, lucida, semplicemente geniale o genialmente semplice. Maria Cristina Nascosi |
in rete dal 23 giugno 2004 |
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