L'alba del giorno dopo - The Day After Tomorrow
Roland Emmerich
- USA 2003 - 2h 4'

Troy
Wolfang Petersen - USA/Germania 2003 - 2h 43'


 

 

sito ufficiale

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    L’uscita quasi contemporanea di due block-buster come Troy e L’alba del giorno dopo-The Day After Tomorrow riporta d’attualità lo strapotere del cinema americano, limiti e pregi di un’efficacia spettacolare che presta il fianco ad un dietrologia politico-culturale forse banale, ma in fondo stimolante.
Con
L’alba del giorno dopo Roland Emmerich, dopo Il Patriota, torna al “suo” genere, quello del catastrofismo, che l’aveva visto invadere gli schermi con Indipendence Day (1996) e Godzilla (1998). Ora, estromessi alieni e mostri, l’impatto della minaccia ha il sigillo ambientalista di una glaciazione improvvisa innescata dall’effetto serra. Le responsabilità dei governanti vanno ben oltre lo snobbare le avvisaglie dei climatologi: il processo di degrado ambientale ha radici ormai profonde, lo stupro dell’equilibrio terrestre è una colpa grave così come il non aver sottoscritto gli accordi di Kyoto e, con azzeccata ironia fanta-sociale, la salvezza per il popolo americano si concretizzerà in un’evacuazione d’emergenza verso il Messico, con il presidente USA costretto ad annullare il debito dei paesi latino-americani e a riconoscere i propri errori.

Per dare il quadro di una metropoli devastata da abnormi grandinate e tornados plurimi il contributo della tecnologia digitale è stato essenziale e nello sguardo restano impresse le immagini della scritta Hollywood divelta dalle colline di Los Angeles, del cronista schiacciato dalla furia degli elementi, del bastimento alla deriva tra i grattaceli di New York, della Statua della Libertà sommersa in un mare di giaccio (efficacissima icona –simbolo della flanistica pubblicitaria). Ma il crescere del racconto, esaurita la sorpresa socio-climatica, gioca le sue carte, ancora una volta, sull’eroismo dei singoli. In particolare sulla tensione dell’incontro clou tra lo scienziato Dennis Quaid (ma era la parte giusta per Kevin Costner, eroe catastrofico di lunga data, da Waterworld a L’uomo del giorno dopo) e il figlio Jake Gyllenhaal (già visto in Cielo d’ottobre). Il ragazzo si barrica nella Biblioteca Pubblica di Manhattan (i libri diventano un bagaglio di saggezza buono solo per bruciare nel camino…) ascoltando i saggi consigli del padre, che arriverà a salvarlo inoltrandosi, a piedi sotto la neve, da Philadelphia a New York (!).
L’originalità dell’assunto eco-catatrofico, la spettacolarizzazione della messa in scena, un minimo di ritmo dato dalla suspense delle vicende personali elevano L’alba del giorno dopo sopra la media dei disaster-movie, ma come la mettiamo con
Troy? Alle spalle abbiamo un genere, quello del peplum (storico-mitologico), che vanta antenati illustri, da
Cabiria (1914) a Ben Hur (1959), e che ha appena rinnovato i fasti di un tempo con il successo de Il gladiatore. Ma abbiamo anche (e con maggior impatto di suggestione nell’immaginario culturale) un “autore del soggetto” che risponde al nome di Omero… L’Iliade riscritta dal pur bravo David Beniof (La 25a ora) è proprio “l’ira del Pelide” secondo i canoni hollywoodiani. Un affresco storico-mitologico depauperato del fascino del mito (l’intervento essenziale degli dei sparisce del tutto), inaffidabile sul profilo storico (dieci anni di assedio ridotti ad una guerra lampo), folgorante solo nell’iperbole eroica del divo Achille. L’impatto dell’interpretazione di Brad Pitt è tutt’altro che criticabile. Il suo personaggio, bello, forte, individualista e tormentato dall’estasi della gloria, sopperisce in parte ad una coreografia d’insieme che la computer-graphic sorregge solo per qualche momentaneo colpo d’occhio (le mille navi che solcano l’Egeo, gli eserciti schierati sotto le mura di Troia). I suoi duelli, violenti, semiacrobatici, adrenalinici e risolutivi sono le vere impennate di una regia (Wolfang Petersen) che banalizza la maestosità degli Atridi, che rende adolescenzialmente mielosa la love-story tra Paride ed Elena, che confonde personaggi e intrighi sentimentali (Briseide), che riesce a dare un surplus di riflessione bellica riecheggiando nello sbarco degli achei quello degli alleati in Normandia, ma che non si preoccupa di immolare, con fastidiosa superficialità drammaturgia, protagonisti destinati a ben altre gesta (Menelao e Agamennone).

Il carisma di un racconto possente e tragico sopravvive, certo: l’umanità del dolore di Priamo trova plauso comune nell’interpretazione di Peter O'Toole, il cavallo ligneo di Ulisse acquista una concretezza che riempie lo schermo, così come le fiamme che avvolgono la distruzione della città. E quella freccia che trafigge il divino tallone fende lo schermo con invitta forza figurativa; ma, scevri della letteratura omerica, quanto ritroveremmo di epico ed emozionante in questa Achilleide da boxoffice?

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  13 giugno 2004