Forse è un argomento per addetti ai lavori,
ma fino a quanto Waterwold è un flop commerciale? O non è
invece il grande trionfatore della stagione, il kolossal hollywoodiano
della miglior tradizione con l'avventura "impressionante" (ma
adatta anche ai più giovani), il fascino misterioso del (non)eroe-divo
(Kevin Costner, anche "folle" producer), i clamorosi travagli
produttivi che hanno reclamizzato (e in parte affossato) il cammino realizzativo
del film? L'aura "mitica" di Waterwold parte da qui: le
riprese effettuate in situazioni d'emergenza sul gigantesco set galleggiante
in balia dei fortunali delle Hawaii, la sovrabbondanza di effetti speciali,
tra modellini in miniatura e schermi blu sottomarini (la lunga sequenza
in immersione), maxi-riproduzioni ed elaborazioni al computer (l'enorme
ponte della petroliera e l'oceano fittizio che la circonda), il budget
da record ripetutamente "sforato" (fino a superare i 175 milioni
di dollari), la fuga indispettita del regista Kevin Reynolds che ha abbandonato
alla fine il set, lasciando la conclusione dei lavori (montaggio compreso)
nella mani dell'amico-nemico Costner.
Ma, al di là delle voci sulla pre-confezione (e alcune malignamente
"pre-confezionate": sembra che il grande Kevin non sia molto
amato dai media americani), la scia emozionale che accompagna Waterworld
nasce tutta dalla tensione futuribile del racconto che descrive con indiscussa
suggestione un mondo post-apocalittico completamente ricoperto d'acqua,
dove gli esseri umani sono abbrutiti naufraghi della civiltà, rifugiati
su isole artificiali di metallo e detriti, dove la minaccia incombente
è costituita dalle bande degli Smokers guidati a feroci scorribande
dal sanguinario Diacono (Dennis Hopper) e dove l'unica speranza per un
domani migliore si chiama Dryland, la "terra secca" dell'utopia,
estremo atollo naturale non ancora sprofondato nel mare senza fine. E Kevin?
Lui
è il Mariner solitario, l'uomo-simbolo del medioevo acquatico prossimo
venturo, che solca l'oceano sul suo super-trimarano (dati tecnici? 18 metri
di stazza con vela da 26 metri e velocità di oltre 30 nodi!), affidandosi
alla propria intraprendenza, a strani marchingegni ecologico-riciclanti
ed alla mutazione naturale che, rendendolo "diverso" tra i suoi
simili, gli ha fornito branchie e piedi palmati adatti all'ambiente. Scettico
e burbero, coraggioso e leale, Kevin-Mariner cede infine alla socializzazione
con i buoni di turno (lei, la Jeanne Tripplehorn di
Basic Istinct
, è un po' opaca; più significativa, anche per il tatuaggio-mappa
che ha sulla schiena, la piccola Tina Majorino nel ruolo della petulante
Enola) e accetta il ruolo di messia della "terra promessa", accompagnando
il pubblico in un'avventura dal ritmo vertiginoso, coreografata da scenari
spettacolari (con esplosioni e iperviolenza da fumetto), avara di "magia"
epica ma prodiga di scontri avvincenti, di invenzioni narrative divertenti
e divertite.
Waterworld insomma, senza arrivare al capolavoro, è sicuramente
un'entusiasmante macchina da cinema: per essere perfetto avrebbe avuto
bisogno probabilmente della regia ispirata e "selvaggia" di un
autore australiano (il modello, in fondo, è sempre
Interceptor-Mad
Max), ma in quel caso, forse, il mutante-Mariner sarebbe stato ironicamente
destinato ad un acquario. E super-Kevin non poteva finire così.
ezio leoni
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La Difesa Del
Popolo
24
settembre 1995
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