"Club amici di Costner" e "Alien
fan-club": momento di delusioni e riflessioni.
Povero Kevin! Non gli era bastata la batosta critica (e, quasi, commerciale)
di Waterworld. Ora si rituffa in un
futuro post-cataclisma (bellico) e, rifuggendo stavolta rozze tecnologie
acquatiche e relativi effetti speciali, si affida al suo carisma d'interprete
e ai paesaggi incontaminati del Nordamerica (Arizona, Oregon, Canada...)
per dare sostanza epica al suo The Postman -
L'uomo del giorno
dopo. Il progetto è suggestivo, ma il risultato non proprio
convincente.
Tratto
dal romanzo di David Brin, il racconto vede Gordon Krantz, il solitario
protagonista, vagare per un'America spopolata e incivile (2013), ridotta
a sparuti villaggi privi di tecnologie e vessata dalle razzie di fanatiche
truppe holniste. Scampato a fatica dai ranghi del generale Bethlehem, Gordon-Kevin
trova casualmente una vecchia divisa da postino e si improvvisa portalettere
del ricostituito (?!) governo degli States. Il suo è solo un escamotage
per esser ben accolto di villaggio in villaggio, ma ben presto la sua figura
si trasforma nel simbolo di una rinnovata fiducia nella civiltà,
di un sentimento nazionalistico aggregante e combattivo. Il servizio postale
diventa un punto di riferimento per la rifondazione dell'ordine costituito
e sempre più numerosi sono i giovani che seguono le orme del leggendario
postino e le comunità che osano opporsi a Bethlehem ed al suo esercito...
Il finale epico e il trionfo dell'utopia democratica non potevano mancare
alla retorica di Kevin Costner, ma non è solo la sostanza della
sceneggiatura ad essere obsoleta. Eccessivo nelle tre ore di proiezione,
irrisolto negli evocativi silenzi che incombono, inesorabili, sui momenti
topici dell'azione, mal calibrato tra gli afflati nostalgici legati ai
riscoperti brandelli di civiltà e l'impatto fumettistico degli scontri
militari, L'uomo del giorno dopo si lascia guardare con amabile
confidenzialità, ma è comprensibile il disamore del grande
pubblico (il fascino dell'ecosistema - morale - ha funzionato con
Balla
coi lupi, non è detto sia una ricetta sempre vincente) e consequenziale
il flop al botteghino (bravo chi riesce a ripescarle il film in qualche
proiezione di seconda visione).
Non
tradisce invece, in emozione e angoscia, la quarto tappa dell'incubo
fantascientifico di Alien.
Dopo il cancro mostruoso (a minare, corpi, coscienze e comunità)
di Ridley Scott (1979), il frenetico scontro paramiltare di Aliens
(James Cameron, 1986) e l'incombente isolamento esistenziale di Alien3
(ove Ripley, col suo mostro annidato in grembo, si era immolata nel
piombo fuso) la saga doveva essersi conclusa.
Ma la voglia di sequel e le aspettative al botteghino hanno fatto sì
che la mascolina Sigourney Weaver avesse il suo quarto atto (Alien.
La clonazione, in originale The Resurrection). E' bastata infatti
una goccia di sangue agli sceneggiatori della Fox ed agli gli scienziati
della mega-astronave Auriga per pensare di clonare una nuova Ripley, ma
(si scoprirà) ci saranno voluti ben otto tentativi e trecento anni
per raggiungere il risulto sperato ed ottenere un esser umano ibrido (il
gene alieno mescolato a quello umano ha reso l'eroina semi-indistruttibile
e affettivamente legata all'odiato nemico) ed una nuova stirpe di digrignanti
alieni finalmente in cattività. Ma a quale prezzo e per quanto?
La
minaccia e l'orrore di Alien ritornano, possenti e sconvolgenti
per la regia del francese Jean-Pierre Jeunet (ricordate Delicatessen?)
e di nuovo ci aspetta il terrore dietro ad ogni cunicolo dell'astronave,
una spasmodica corsa contro il tempo, un faccia a faccia finale sanguinolento
e risolutore. Alien 4 è quasi all'altezza dei suoi predecessori,
il malefico fascino del mostro e dei disperati umani che lo affrontano
gira ancora una volta il coltello nella piaga della nostra insana passione
per le oscure trame fantascientifiche del male . La purezza androgina (e
androìdea) di Winona Ryder è un ulteriore, sottile monito
contro le nefandezze (dis)umane, ma tra crani spappolati, viscere dilaniate
e schifosissime rappresentazioni di cloni deformi e iper-organicità
aliene, s'insinua un dubbio. Vince in noi il piacere del cinema o il disgusto
per il fanta-horror bavoso?
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