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qualcuno sembrerà cinico, ma dopo le guerre fioriscono commedie
strepitose. L’ultima viene dalla Bosnia e l’ha diretta un documentarista
che non potendone più di orrori e disperazione ha deciso di raccontare la
nuova realtà del suo paese come se fosse un film di Altman, una di quelle
commedie corali zeppe di tutto, personaggi, appetiti, manie, che
rovesciano il tragico in comico per portarti verso epiloghi più neri del
nero.
Nella gran folla di personaggi spiccano un sindaco, un pompiere e un
ruffiano, tutti abitanti nella stessa cittadina fra i monti della Bosnia.
Ma siamo nel 1996, la guerra è finita o almeno così sembra, e a benedire
la pace sta per arrivare nientemeno che Bill Clinton («Clinton? Ah
certo, il cantante rock!», dice un poliziotto beninformato). Così il
sindaco si preoccupa di ripulire la città da tutte le magagne, e non sono
poche; il pompiere ritrova l’amata fuggita in Germania durante la guerra,
ma non fa a tempo a riabbracciarla che la poveretta salta su una mina;
mentre il ruffiano si dà un gran da fare per riconvertire i suoi traffici
in attività gradite al pool di osservatori internazionali che setacciano
la città senza vedere quasi nulla.
Ed ecco che l’allegro bordello locale con busto di Tito all’ingresso
diventa un improbabile “Centro per la Riconciliazione Etnica” tutto
attività sportive e fanciulle danzanti in abiti folk; mentre il sindaco
affitta pro tempore un pittoresco gruppo di contadini “reintegrati”
all’odiato collega di un vicino paesino serbo. E il vecchio padre del
pompiere, poliziotto in pensione, a forza di parlare col fantasma
dell’altro figlio, disperso in guerra, perde definitivamente la trebisonda
proprio quando è giunto il gran giorno...
Naturalmente è perlomeno curiosa la coincidenza fra la visita di Bush a
Roma e l’uscita di
Benvenuto Mr. President
(Pardo d’argento all’ultimo festival di Locarno). Ma è inutile ricamare su
inesistenti analogie, il film si impone per le sue qualità. Per la bravura
di attori sconosciuti e dotati di facce straordinarie, facce che sanno di
cinema italiano anni ’50; perché sa condensare in una battuta o in una gag
sia l’odio etnico sia la sempre possibile riconciliazione, magari
all’insegna dei pannolini per neonati; perché non lancia “messaggi” ma
crea personaggi che vivono di vita propria conciliando il sogno e l’humour
noir, la passione e il disincanto. La tragedia della Storia e la commedia
della vita.
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