The Hurt Locker |
Venezia 65° - Concorso
Qual è la tecnica più efficace per disinnescare un ordigno, soldato? .- Quella che ti fa restare vivo, signore
Dopo
sei anni di assenza dagli schermi
Kathryn Bigelow
ha presentato in
concorso un film sulla guerra in Iraq, così come avevano fatto lo
scorso anno Brian De Palma con il bellissimo
Redacted,
che, ignorato dalla critica in USA, non ha purtroppo trovato regolare
distribuzione in Italia e Paul
Haggis con il commovente
Nella valle di Elah, ispirato tra
l’altro ad un articolo dello stesso giornalista Mark Boal, che ha
scritto la sceneggiatura di
The Hurt Locker.
La Bigelow ha dichiarato, in conferenza stampa di essere stata molto
colpita dal reportage (premio Pulitzer) di Mark Boal, che ha vissuto
per circa un mese in Iraq assieme a un gruppo di soldati scelti,
incaricati di disinnescare le bombe.
Il film rende concreta la paura, ma anche l’adrenalina, necessaria per affrontare situazioni estreme, che carica di fascinazione dolorosa il conflitto e che diventa quasi una droga per tanti ragazzi che nella guerra, nel loro impegno in cerca di ideali, anche se apparentemente ne sembrano privi, trovano, oltre che uno stipendio sicuro, una loro identità, al di là di qualsiasi loro emarginazione o inquietudine.
The Hurt Locker è un titolo difficile da tradurre: letteralmente sarebbe la scatola del dolore, alludendo sia alle bombe che contengono la morte (che sono a loro volta contenute dai corpi dei kamikaze, ai quali vengono incatenate), sia più genericamente al luogo del dolore definitivo “alla massima sofferenza quando si sa di avere l’ombra della morte di fronte” , per usare le parole dell’autrice. Kathryn Bigelow sviluppa questa sua personale riflessione sull’orrore della guerra e sulle sue conseguenze su chi sceglie di esserne parte, realizzando, con uno stile iper-realistico, ma nello stesso tempo freddo e distaccato, una narrazione corale, senza focalizzare l’attenzione su un particolare personaggio o su una situazione fortemente coinvolgente, senza indulgere in sentimentalismi, nemmeno nella scena di più forte impatto emotivo del kamikaze bambino. La stessa scelta del cast tutto al maschile - che vede affiancati pochi volti noti, come Renner e Fiennes, ad altri interpreti non noti e a veri prigionieri iracheni delle truppe USA, rifiutando le regole dello star-system - contribuisce a creare un ritratto spietato della guerra, che sembra richiedere allo spettatore più una riflessione che una partecipazione. |
Cristina Menegolli - MC magazine 24 ottobre 2008 |
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Ancora il conflitto in Iraq, ma "dentro" l'assurdità della guerra, attraverso la cronaca di un'unità speciale antimina, addestrata a prevenire gli attentati dei kamikaze. In una realtà di tensione paradossale la devastazione interiore del singolo sfocia in patologica assuefazione. Un racconto asciutto e incalzante, in cui l'identificazione col protagonista diventa effetto collaterale. Quasi un blackout ideologico (un film antimilitarista o filoimperialista?) per una regia adrenalinica di straordinaria tensione emotiva. |