Nella sua
lunga carriera
De Palma
ci ha abituati ad un cinema in cui l’attenzione dello spettatore viene
continuamente spostata dal significato al significante: nei suoi film,
come
Sorelle,
Carrie,
Vestito per uccidere,
Blow out,
Gli intoccabili,
Carlito’s way,
per citare i più conosciuti, un plot relativamente semplice e
riconoscibile in quanto riconducibile ad un genere (horror, noir,
gangster movie…) veniva formalizzato in un linguaggio incredibilmente
elaborato, colto e composito, che denotava fortemente la matrice
“autoriale” delle immagini e dunque la loro artificiosità.
Infatti in una vecchia intervista del ’77 De Palma dichiarava: “…il
linguaggio dell’immagine è la mia preoccupazione principale. Cerco,
prima di tutto, dei soggetti che mi diano grandi possibilità sul piano
visivo. Il mio stile è già abbastanza complesso perché non cerchi la
semplicità nello svolgimento del racconto… – aggiungendo poi -
…sono contrario a quei tremendi film politici, perché penso che il
cinema diventi estremamente didattico da un punto di vista politico e
quindi sia una specie di conferenza tenuta alla gente, che è un modo
di comunicare più adatto alla televisione…. Il cinema è essenzialmente
arte grafica, immagine in movimento e questo la gente dovrebbe trovare
sempre nei miei film.”
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In effetti, fino ad oggi, l’unico film di contenuto politico di De
Palma,
Vittime di guerra (1989),
risulta forse il meno riuscito. Con
Redacted
accolto da lunghi applausi del pubblico alla Mostra del Cinema di
Venezia e giustamente premiato con il Leone d’argento per la
miglior regia, De Palma, pur rimanendo fedele alla sua idea di cinema,
riesce a fare un salto di qualità notevole, non solo rispetto alla sua
precedente produzione, ma anche rispetto ai film “impegnati”, che si
vogliono porre come atti d’accusa nei confronti della guerra e della
politica estera americana.
Ancora una volta il plot è semplificato al massimo: il film racconta
la storia vera di uno stupro collettivo di una ragazza di 14 anni, poi
uccisa con tutta la sua famiglia, ad opera di cinque soldati americani
in una cittadina irachena nei pressi di Samarra. E ancora una volta De
Palma lavora non tanto sulla storia, che basta da sola a comunicare
tutto il suo orrore, ma sul linguaggio: scegliendo di usare soltanto
“immagini di immagini”, costruisce un collage di documenti
audiovisivi, in cui si sovrappongono punti di vista molto diversi:
riprese amatoriali di un soldato che spera con il suo filmato di
essere preso ad una scuola di cinema, un documentario di una troupe
francese sulla vita dei soldati nei checkpoint, programmi delle TV
locali, videoconferenze dei terroristi con tanto di decapitazione in
diretta, messaggi dei familiari affidati a You-Tube, siti web,
ecc.; il tutto dichiaratamente finto, ma tragicamente verosimile.
Sono le immagini attraverso le quali noi ci siamo abituati a vedere la
guerra “vera” quelle che De Palma ricostruisce, immagini però “redacted”,
riedite cioè sottoposte comunque ad un lavoro di ripulitura prima di
essere rese pubbliche. Chi sta dietro a ciò che vediamo? Nella realtà
i centri di potere politico, nella finzione De Palma stesso, che in
questo caso rimane nell’ombra, anzi fa di tutto per non rivelarsi: le
informazioni veicolate sono comunque manipolate.2
Ma De Palma non si limita a denunciare la presunta oggettività delle
immagini: quello che rende questo film uno degli atti d’accusa più
duri e lucidi non solo contro la guerra in Iraq, ma soprattutto nei
confronti della cultura americana delle immagini è che, proprio perché
“redacted”, queste immagini servono non tanto a documentare, ma a
mostrare, a denunciare. Se c'è una manipolazione in favore del segreto
di stato, che tende a nascondere, perché non può essercene una dalla
parte dell'integrità, del far vedere?
Se già
Kubrick
in
Full Metal Jacket
ci aveva raccontato come la cultura dell’immagine avesse modificato i
comportamenti dei soldati in Vietnam, De Palma ci dimostra come non
soltanto la guerra genera immagini, ma che le stesse immagini generano
una nuova guerra, in una spirale sempre più tragica e disumana.
Il film si chiude con una serie di fotografie, che ritraggono corpi di
civili morti (2400 sono gli iracheni ammazzati nell’ultimo anno ai
checkpoint USA); immagini fisse, questa volta autentiche, anche se su
di esse sono stati cancellati i volti con un tratto di pennarello
nero... In qualche modo quindi anch'esse modificate, seppur per
salvaguardare l'identità delle vittime. Il loro scorrere, accompagnato
dalle note della Tosca, fa di questo uno dei film politici più
tremendamente accusatori che il cinema ci abbia dato.
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