Shakespeare in Love
John Madden - USA 1998 - 2h 1'

  

    Se 13 candidature vi sembran poche… L'affacciarsi sulla scena (cinematografica) italiana di Shakespeare in Love ha coinciso con l'investitura delle nomination agli oscar: miglior film, miglior regista, miglior attrice protagonista, migliori costumi, miglior sceneggiatura originale, fotografia, scenografia… Aspettando il fatidico verdetto (ma che ce ne cale?!) cerchiamo di entrare in sintonia critica con quest'opera che di shakespeariano ha il gusto del paradosso e della soavità, del contorsionismo narrativo e della immediatezza comunicativa, ma che non è l'ennesima trasposizione di una piece del "grande bardo", piuttosto una rivisitazione storico-biografica "alla maniera di".
Del drammaturgo di Stratford il cinema si è impossessato da sempre, con una rinnovato interesse proprio due anni fa (
Riccardo III, Romeo&Juliet, Looking for Richard, La dodicesima notte, Hamlet), ma qui il gioco si fa sottile, biograficamente inattendibile e citazionisticamente impeccabile. E' l'estate del 1593, a Londra l'età elisabettiana fa sfoggio di sfarzo e cultura, ma la vita del popolo fa tappa tra miseria e pestilenze, tra stamberghe e postriboli. Occorre tenere presente questo quadro storico per capire l'importanza e lo sviluppo della commedia e del teatro. La gente comune affolla le due "sale" cittadine (il Rose e il Curtain) con gioiosa partecipazione, ma anche la regina ama deliziarsi con sontuose rappresentazioni nei palazzi di corte. Non per niente è l'era di Marlowe e Shakespeare. Eppure "il nostro" è in crisi creativa: si barcamena economicamente promettendo il suo nuovo lavoro ad entrambi gli impresari, ma non riesce a portare a termine il suo Romeo e Ethel, la figlia del pirata. L'amico Marlowe (Rupert Everett) gli consiglia un'impostazione narrativa amorosamente più tormentata ("due famiglie rivali"), il bel Ned-Mercuzio (Ben Affleck) lo convince che un titolo come Romeo e Giulietta suona meglio, ma Will (Joseph Fiennes), donnaiolo impenitente, confida nell'ispirazione di una nuova musa… Questa si concretizza, inaspettatamente, nella figura aristocratica, dolce e volitiva, di Lady Viola (Gwyneth Paltrow) o meglio di Thomas Kent, giovane aspirante attore che si fa avanti per un'audizione. Il camuffamento è necessario perché in quel tempo il teatro è inibito alle donne, i travestimenti femminili sono di prammatica per protagonisti e comprimari della scena, la sensibilità del gentil sesso è affidata alla disponibilità delle voci bianche e al tocco psicologico dell'autore del testo. Inutile dire che il trucco presto si disvela proprio nell'intimità del rapporto tra il drammaturgo e il suo primo attore, così che la nuova commedia prende forma in simbiosi con la passione che divampa tra Will e Viola…
La banalità della situazione (per altro un classico della commedia degli equivoci) viene nobilitata da un prezioso intarsio metalinguistico tra l'evolversi del racconto e i riferimenti all'universo letterario shakespeariano. Come in Romeo e Giulietta dapprima il protagonista è distratto da un'infatuazione fuorviante (Rosalina). All'audizione Viola declama i versi di I due gentiluomini di Verona, (alla cui rappresentazione i due si sono poco prima incontrati). Il ragazzino che, a teatro, si entusiasma per le scene più truculente è il ritratto giovanile di John Webster, commediografo della crudeltà (Il diavolo bianco, La duchessa di Amalfi). L'invito finale della regina a scrivere qualcosa di divertente per l'Epifania si fonde con la partenza dell'amata, per mare, verso le Americhe, a delineare la stesura di La dodicesima notte in cui l'eroina (Viola!) calcherà le scene in abiti maschili.
Ma su tutto prevale, nell'emozione figurativa cinematografica, l'accurata, perfetta ricostruzione del pathos dell'incontro attori-pubblico nella messa in scena finale. La spavalda verve recitativa del cast (del film e della commedia), l'ammiccante complicità di sguardi e sentimenti tra Will e Viola, l'impetuosa spontaneità dei londinesi assiepati nel teatro, addossati al palco e ai loro beniamini, elevano alla massima potenza la valenza culturale e spettacolare di Shakespeare in Love. Eppure il film di John Madden
film successivo in archivio (e dello sceneggiatore Marc Norman affiancato dal grande Tom Stoppard - ricordate Rosencrantz e Guidenstern sono morti?), così filologicamente corretto, così modernamente rivisitato (lo "sceneggiatore" Shakespeare ricorre perfino ad uno psicanalista ante litteram) ci ha solo raramente emozionato e vagamente divertito. Alla lunga i parallelismi arte-vita ci sono sembrati forzati e infantili, le scintille d'ispirazione tanto ridondanti quanto quegli iterati scarabocchi sulla carta bianca nell'atto creativo, davvero insopportabile la melensaggine musicale che tace (alfine!) solo nel momento in cui si compie il dramma sulla scena (splendido!). Forse è vero che Shakespeare in Love coglie appieno il fermento di sintonia drammaturgica tra l'autore elisabettiano e il suo pubblico (anche nelle sue debolezze e ingenuità), ma è anche vero che l'autocompiacimento di Stoppard e soci è fin troppo sopra le righe e la regia privilegia i luoghi comuni… Ma non date troppo peso ai nostri sofismi critici, Shakespeare in Love è fatto per piacere al grande pubblico e per deliziare gli intellettuali shakespeariani. Hollywood on Avon val bene una pioggia di oscar.

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  21 marzo 1999

1998: 13 nomination/7 oscar
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