Sono due gli ultimi grandi film della stagione
che si fronteggiano in questi giorni nelle sale, Hamlet di Kenneth Branagh e Potere
assoluto di Clint Eastwood.
In realtà la loro non è una lotta intestina, ma un estremo, comune,
tentativo di contrastare l'estate anticipata che ormai da Pasqua in poi
depista i potenziali spettatori e sbeffeggia l'industria cinematografica.
Crisi dei botteghini a parte, le due pellicole hanno comunque una curiosa
convergenza narrativa: in entrambe i protagonisti devono confrontarsi con
la trasparenza di un falso specchio.
Branagh (regista e attore) nel riaggiornare Amleto in una
cornice mitteleuropea ottocentesca declama infatti il suo "essere
o non essere" di fronte ad una delle tante porte-specchio della
gigantesca sala delle feste, ma di lì a poco, nel drammatico
duetto con la povera Ofelia, sarà spiato proprio attraverso uno
di quegli specchi, ambiguamente traslucidi, da Claudio e Polonio. Di
contro tutto il plot di
Potere assoluto
(in cui, di nuovo, il regista - Eastwood
- è anche
interprete)
è incentrato sull'omicidio cui assiste il protagonista, un ladro-gentiluomo
"intrappolato" dietro il falso specchio di una stanza-cassaforte.
La sfiziosa affinità tra le due opere dei due registi (n°
7 per Branagh, 19a per l'inossidabile Clint) termina ovviamente qui,
ma non crediate che il divario culturale di fondo svilisca oltre misura
il lavoro di Eastwood. Potere assoluto è un bell'esempio
di film di genere (giallo, thriller, poliziesco - la classificazione
univoca va ormai stretta). Parte misterioso e provocante, prende corpo
con grinta e sensibilità, si sfilaccia purtroppo nell'ultima
mezz'ora, ma la figura del ladro inafferrabile ha una sua aura mitica,
lo scavo psicologico tra padre e figlia è essenziale ed efficace
e la denuncia per l'oscena tracotanza del potere non è una sferzata
da poco nel clima di buonismo (presidenziale) USA di questi tempi. Quale
giudizio critico infine per il mastodontico (ne esiste una
versione di quattro ore!)
Hamlet ?
Ci troviamo di fronte ad una trasposizione integrale, puntigliosa ed
esaustiva in cui il testo di
Shakespeare ritrova completezza
nella ridda di personaggi,
psicologie e conflitti, nient'affatto tradito nell'ambientazione stile-Mayerling,
ma argutamente impreziosito grazie alla commistione di generi e situazioni:
dall'horror dell'apparizione del fantasma paterno, all'ampio respiro
delle brevi scene di battaglia. Branagh contrappunta infatti la vicenda
con l'incombente invasione delle truppe di Fortebraccio, ma ha anche
un occhio di riguardo per il triste destino di Ofelia (esplicita amante
di Amleto in alcuni sensuali flash), dà tono al ruolo partecipe
e sofferto di Orazio. Ciò che affascina è lo sfarzo barocco
e "solare" che avvolge la tragedia (teso ad enfatizzare la
sfrontata paranoia del potere) e l'adrenalinico protagonismo di Branagh-Amleto,
effervescente nella sua recitazione tormentata e sferzante, narcisistico
nella regia, che si esalta tra superbe scenografie e virtuosistici movimenti
di macchina. L'emozione è dirompente, ma più "di
testa" che "di cuore": la nostalgia per la cupa aura
gotica delle letture di Olivier (1948) e Kozintsev (1964) in noi si
è fatta un po' sentire...
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