Il seme della
discordia
non aspira a dire la sua nelle inchieste o nei talk-show dedicati alle
dinamiche della coppia e alla salute dell'istituzione matrimoniale; però è
innegabile che i cammei interpretati dall'androloga Monica Guerritore, dal
babbo bastardo Angelo Infanti, dalla sensuale ballerina Lucilla Agosti e,
soprattutto, da Iaia Forte e Rosalia Porcaro nelle vesti (particolari) di
due delle più calienti amanti di Gassman oltre che più divertenti,
risultano anche mille volte più illuminanti. Anche rispetto alla nostra
odiosamata città, il film più vitalistico visto finora alla Mostra sa come
parlare al cuore e alla mente: il disastro contemporaneo non vi è
sottolineato scolasticamente, ma incombe in tutta la sua evidenza grazie
al ricorso alle colonne sonore del cinema popolare e agli elementi
dell'arredamento e dell'abbigliamento degli, ahinoi, unanimemente
rimpianti, anni Sessanta. Il racconto alla Corsicato
assume, così, una
cadenza estetica estremamente moderna: l'aspetto dei protagonisti, la
peculiarità dei loro look, la sostanza dei loro sogni, la deriva dei loro
destini assomigliano a un balletto in apparenza perfetto, ma a guardare
bene pieno di crepe, pause malinconiche e risvolti grotteschi, ma non per
questo indegno di essere goduto al di là e al di qua dello schermo". |
Pare
improbabile che
Il seme della
discordia
divida più di tanto i giurati veneziani pilotati da Wim Wenders, persi
dietro altri pensieri. Ma è possibile che la commedia di Pappi Corsicato,
napoletano, classe 1960), sia vista, specie dal pubblico femminile, come
un’alternativa sfiziosa ai cupi eventi che punteggiano Un giorno perfetto.
Corsicato non girava un film dal 2001. Il tonfo di
Chimera
gli fu fatale, spingendolo verso altre strade (teatro, documentari,
videoarte). Ora ci riprova tornando alle tonalità predilette. Passa un po’
come il nostro Almodovar
, e per alcuni versi il paragone calza, non fosse
altro per ché i due si conoscono e hanno collaborato. Solo che il regista
spagnolo, maturando, s’è depurato di un certo manierismo estetizzante, che
pure fu la cifra del suo successo: colori sgargianti a un passo dal
kitsch, donne sull’orlo di una crisi nervi, recuperi musicali. Mentre il
nostro recupera per intero, sia pure filtrandolo attraverso una
sensibilità partenopea, quel gusto visivo.
Lo spunto della storia deriva, molto liberamente,da un racconto di Von
Kleist, La marchesa von O., già
portato sullo schermo da Eric Rohmer. Confronto impossibile… Prima
avvertenza: dimenticare
Gomorra. La Napoli in cui passeggia
la protagonista è quella lustra e ultramodema del Centro Direzionale
progettato dal l’architetto giapponese Kenzo Tange. Seconda avvertenza:
Corsicato rifiuta una certa visione naturalistica del cinema, ama giocare
sui temi del melodramma fiammeggiante, dentro un universo infinito di
”omaggi”. Così assistiamo alla strano caso della bella Veronica, che
gestisce un negozio di abbigliamento e sta per aprirne un altro, un
“concept store”. Seducente, tornita, ammirata dagli uomini come la Sophia
Loren di La fortuna di essere donna, è sposata stancamente con Mario, un
rappresentante di fertilizzanti che la cornifica volentieri. Coiti
distratti, nella speranza di aver un figlio che non viene. Finché lei,
aggredita da due ladruncoli e soccorsa da una premurosa guardia giurata,
si scopre incinta proprio nel giorno in cui il marito apprende dalle
analisi di essere sterile. Di chi sarà mai il seme della discordia?
Veronica è Caterina Murino, già Bond-girl in Casinò Royale e bellezza
sarda in gran spolvero. Lui è Alessandro Gassman, già frivolo fratello di
Moretti in
Caos Calmo. Intorno, un bizzarro e colorito universo femminile
nel quale spiccano Valeria Fabrizi, Martina Stella, Isabella Ferrari,
Rosalia Porcaro, Monica Guerritore e naturalmente l’attrice-feticcio Iaia
Forte.
Per Corsicato, gay dichiarato come Almodovar, «il mondo femminile possiede
una follia che gli uomini di solito non si permettono». Ne scaturisce un
fantasioso collage di gag e situazioni buffe all’insegna di una bellezza
muliebre stilizzata, esagerata, coloratissima, molto anni Sessanta, tutta
scollature e tacchi alti Ovviamente il regista cita a man bassa (anche se
stesso, mostrando una sequenza di Libera). senza pudore, bombardando la
storiella di musiche prese da una trentina di vecchi b-movie italiani. Tra cha-cha-cha
e pose da fotoromanzo,
Il seme della discordia strizza
l’occhio a L’uomo che amava le donne,
Via col vento,
Milano calibro 9,
La
corazzata Potemkin. La Murino nuda sotto la doccia, tutta insaponata,
rievoca la mitica Edwige Fenech dei tempi d’oro; e quando si vendica in
tuta rossa, usando una vanga al posto della katana, come non pensare alla
Uma Thurman di
Kill Bill? Immancabile la canzone di Mina, nell’occasione
Balla ragazzina, mentre la finta suora strappa l’applauso nella battuta
sull’immacolata concezione. Si ride? A volte, perché il clima è giocoso, e
anche il tema del presunto stupro viene risolto in chiave sdrammatizzante.
con appendice romantica e sorpresa finale (occhio a quella “voglia” sotto
l’occhio di un personaggio). Però un sospetto di aria fritta si aggira sul
tutto. Battuta a caldo colta al volo all’anteprima veneziana: «Parte come Truffaut e finisce come
Centrovetrine”… |