Se c'è una considerazione da fare a latere
(ma non marginale) sulla nuova mostra-gestione Laudadio è che lo
spazio concesso al cinema italiano è stato tale da delineare una
panoramica certamente indicativa dello "stato delle cose". Innanzi
tutto "la scuola napoletana": le virgolette sono indispensabili
anche perché registi come Martone, Capuano e Corsicato pare non
si vogliano riconoscere in una "scuola" aggregante. Eppure l'identificazione
è corretta, anche alla luce del loro film I Vesuviani, presentato
in concorso a fianco di Giro di lune tra
terra e mare, opera di un altro autore campano,
Giuseppe Gaudino.
In entrambi i film lo sguardo d'autore č intriso di una partecipazione viscerale
alla dignitą e alla vitalitą della propria terra. Gaudino in particolare
si butta a corpo morto nell'elegia della sua Pozzuoli, vista
in disfacimento attraverso le peripezie e di una famiglia di pescatori
in continuo migrare da una dimora all'altra (minacciati dal bradisismo
e dall'inquinamento che mette al bando la coltivazione delle cozze) e sublimata
nella sua aura mitica attraverso fantasmagorici inserti sulla storia epica
della Sibilla, di Agrippina, di Nerone. Alla fotografia solare della contemporaneità,
corrisponde, per le antiche gesta, una cromia buia, sgranata come nelle
pellicole del cinema muto, e se la famiglia puteolana parla in dialetto,
i personaggi del mito si esprimono in latino (per entrambi intervengono
i sottotitoli)... L'incuria del presente contrapposto alla nobiltà
della origini, alla forza della tradizione (c'è anche un richiamo
a Pergolesi): l'idea è suggestiva e coerente ma il risultato, specie
nelle rievocazioni, è scalcinato e tedioso. Così
l'apprezzamento per l'impegno artistico di Gaudino si ferma all'ispirazione
e la stessa sensazione d'insieme si prova di fronte a I Vesuviani,
opera forse penalizzata proprio dall'inserimento in concorso, in un ambiente
esigente come quello del festival veneziano. Le cinque storie raccontate
hanno infatti più l'aria del divertissement, che dell'approfondimento
culturale, ma anche in quest'ottica il lavoro di Martone e soci ha il fiato
corto. Le super-donne motocicliste di Pappi Corsicato (La stirpe
di Iana) non sono più che una scanzonata avventura al femminile,
in Maruzzella Antonietta De Lillo non sa andar oltre al fascino
ambiguo del suo protagonista (Enzo Moscato), star "alternativa"
di un sala cinematografica a luci rosse, l'allegoria di Sofialorén
(Antonia Capuano) è pressapochistica e squallidamente farsesca,
e, visto che anche Stefano Incerti non riesce a manovrare con compostezza
forme e contenuti di Il diavolo nella bottiglia, tutta l'attenzione
si posa su La
salita, di Mario Martone, che affronta di petto la nuova realtà
politica napoletana e accompagna "il sindaco" (il riferimento
è proprio ad Antonio Bassolino) in una surreale passeggiata lungo
l'impervio crinale del Vesuvio. C'è spazio per vari personaggi di
simbolica napoletaneità (dal nobiluomo alla prostituta) e a situazioni
emblematiche come quella di cantiere di lavoratori minorenni (sempre troppo
lontano per potervi intervenire), ma l'incontro più significativo
è quello con il corvo pasoliniano di Uccellacci e uccellini...
Pur nella sua compostezza intellettuale anche l'episodio di Martone non
convince fino in fondo ma, soprattutto, stride ulteriormente nel puzzle
compositivo de I Vesuviani che, tra farsa e metafora, resta sbiadito
e talvolta fastidioso.
e.l. La
Difesa del Popolo 14/9/97
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