Una
favola dolce e la cronaca turpe sono all'origine di
Parla con lei, il nuovo bellissimo film di
Pedro Almodóvar
. La favola è quella della Bella Addormentata nel bosco, risvegliata dal suo eterno sonno sereno dal bacio (eufemismo) dell´amore. Le notizie di cronaca le conosciamo: quella volta che un giovane inserviente d´obitorio in Romania, sedotto dal cadavere d´una ragazza, lo possedette e lei si svegliò da una morte che era soltanto apparente; quella volta a New York che una ragazza in coma da nove anni rimase incinta per via di un inserviente d´ospedale... Il giovane infermiere Benigno (Javier Cámara), dopo essersi occupato per anni d´assistere la propria madre inerte, si dedica a una studentessa di danza entrata da anni in coma dopo un incidente automobilistico (Leonor Watling, attrice di fiction televisiva molto famosa in Spagna): le parla raccontandole i fatti del giorno, i pettegolezzi, le storie, leggendole i giornali o narrandole i film; la lava e asciuga, le taglia le unghie e i capelli, le massaggia il bellissimo corpo, la trucca e la veste; la nutre, la accompagna al sole, le cura la muscolatura e le vie respiratorie. Il modo di questo rapporto è per metà professionale, per metà amoroso, nutrito d´una serena tenerezza, d´una dedizione affaccendata e lieta senza noia e senza sforzo, d´una massima attenzione. Lui ha passione per la ragazza, non resisterà al desiderio di possederla, finirà in prigione, si ucciderà mentre lei, risvegliata dall´amore, torna alla vita e alla danza. Durante le lunghe ore passate nella clinica privata, Benigno ha conosciuto un uomo, giornalista e scrittore di viaggi (Darío Grandinetti), che pure lui si occupa di una donna in coma, una torera ferita dal toro nell'arena (Rosario Flores), una guerriera che lui ama ma che nella malattia non riesce a toccare. I due uomini diventano amici, in un legame forte e affettuoso senza altri desideri. Dopo la fine e la resurrezione, forse sarà il giornalista a unirsi alla ragazza danzatrice, seguendo una di quelle svolte impreviste e capricciose che l´esistenza sa offrire. Storie bislacche, impensabili: la bravura meravigliosa di Almodóvar, la sua umanità, riescono a renderle del tutto naturali, a farne il filtro di sentimenti intensi e commoventi, del dolore quotidiano come della sperata felicità. La maturazione stilistica del regista è straordinaria. In passato, nei suoi film sgangherati, scandalosi e divertenti le immagini erano l´ultima cosa, a contare erano soprattutto storie e personaggi, battute ed esagerazioni, provocazioni buffe, eccessi, estremismi spesso verbali, colori squillanti. Adesso la sua maestria visuale è ammirevole. Tutto sempre essersi placato nella cognizione del dolore, nell´attesa d´amore; uomini e donne, viventi e assenti, sono diventati intercambiabili, le lacrime hanno lo stesso rapporto con la sofferenza e con il piacere. Le trovate espressive non sono fine a se stesse, insignificanti, ma partecipi dell´emozione della vicenda: un prologo e un epilogo costituiti da brani di
Cafè Muller e di Masurca Fogo di Pina Bausch, sette minuti d´un falso film muto ambientato nel 1924, Caetano Veloso che canta la sua canzone più struggente, non sono ostentazioni multiculturali,
ma segni della pluralità delle passioni. |