La terra degli
uomini rossi - Birdwatchers
Marco
Bechis -
Italia/Brasile
2008
- 1h 48'
|
Venezia 65° - Concorso
In
Birdwatchers, la terra degli uomini rossi
Marco Bechis non inventa nulla, piuttosto trasforma in finzione una
cronaca iniziata cinquecento anni fa, quando ebbe avvio il più grande
genocidio della storia umana con la conquista dell'America (...) Bechis,
al contrario di quanto avvenuto in filmoni alla Mission, utilizza i
guarany non come comparse di un film bianco, ma da veri protagonisti. Sono
loro gli attori di
Birdwatchers,
loro che ci raccontano la storia di questo piccolo gruppo di indios che
scappa dalla riserva e decide di tornare a vivere lì dove anni prima sono
stati seppelliti i loro antenati (...) Forse troppo rigoroso - come è
sempre nello stile del regista italo-cileno di
Garage Olimpo
e
Hijos
- e rigido per soddisfare pienamente i palati di pubblico e critici,
Birdwatchers
è comunque un film bello e pieno di meriti. Il suo premio lo ha già vinto
portando qui, nella terra della dimenticanza e del menefreghismo, l'altra
faccia del pianeta. Questa manciata di indios che con tolleranza ci
guardano in faccia e ci dicono che quello che noi consumiamo con somma
indifferenza, lo abbiamo rubato anche a loro.
|
Roberta Ronconi -
Liberazione |
Non
meritano neppure un vero odio, i "selvaggi" di
La
terra degli uomini rossi - Birdwatchers.
Vinti, irrilevanti, i fazendeiro del Mato Grosso do Sul riservano loro
l'attenzione che meritano degli insetti fastidiosi. E come insetti sono
trattati, da secoli, i discendenti dei popoli autoctoni che in Brasile non
hanno accettato l'integrazione nella religione degli invasori. Tra di
essi, appunto, ci sono i Guarani-Kaiowà raccontati da Marco Bechis. Con le
altre culture Guarani, all'arrivo degli europei erano un milione e mezzo.
Oggi sono circa 30mila, ridotti in condizioni tali che, in meno di trent'anni,fra
loro ci sono stati più di 500 suicidi, in prevalenza giovani. E da molti
suicidi, appunto, è segnato questo film coraggioso. Per due o tre volte la
macchina da presa inquadra poveri corpi che pendono dai pochi alberi che
la coltivazione intensiva della terra ha risparmiato. Costretti a vivere
nella polvere sterile delle riserve, scelgono di morire nel poco che resta
della foresta. E gli altri, quelli che ancora resistono, li salutano con
un risentimento rituale che a malapena copre il dolore e la pietà. Li
maledicono per averli abbandonati. Anche noi vi abbandoniamo, urlano
rivolti alla fossa in cui stanno per seppellirli. Vi cancelleremo dalla
memoria, promettono senza piangere. Ed è come se volessero sfuggire al
male che ha travolto i morti: alla loro ãngue, alla loro anima che ancora
s'aggira fra le povere capanne, in quel che resta di un mondo antico e
sconfitto. Con rispetto antropologico e umano, Bechis racconta una storia
"inventata", eppure tragicamente vera. Dopo il suicidio di due ragazze
della riserva, Nadio usa la propria autorità di capo e di uomo saggio per
indurre un piccolo gruppo dei suoi a tornare nella terra da cui i
fazendeiro li hanno cacciati. Tutto quel che ne resta è un susseguirsi di
campi spianati dall'aratro e chiusi con filo di ferro. Qui, di fianco a
quella recinzione crudele, i ribelli piantano le loro tende, un ibrido di
antica perizia e di nuova miseria: grandi teli di plastica nera sorretti
con rami intrecciati…. |
Roberto Escobar - Il
Sole-24 Ore |
Con
Birdwatchers
il cinquantatreenne Marco Bechis tiene fede al proprio identikit di
regista politicamente corretto, ma per fortuna non rinuncia a un progetto
stilistico e a un'idea drammaturgica. Certo l'asse portante è di quelli
che non consentono scappatoie allo spettatore, perché la denuncia delle
terribili condizioni in cui versano le tribù superstiti degli indios
brasiliani potrebbe commuovere anche le pietre, figuriamoci i festivalieri
votati per principio alle nobili cause. Però i presupposti canonici si
distendono in uno spettacolo a tutto tondo, soprattutto nella prima parte
ricco di risonanze umane misteriose e contrappunti naturali intensi. (...)
Il contatto fra i due inconciliabili mondi è descritto da Bechis con mano
sufficientemente sicura, tanto è vero che il film risulta più convincente
quando tratteggia gli stupori, le curiosità, i piccoli gesti e le contorte
attrazioni che i singoli personaggi sperimentano al di là di pregiudizi e
convenzioni. Per di più vecchi e giovani attori color mattone non sembrano
improvvisati e reggono benissimo il confronto con i professionisti venuti
dall'Europa, tra cui faticano a farsi valere il perplesso guardiano
Claudio Santamaria e la distratta fazendeira Chiara Caselli. Peccato che
il fluido percorso narrativo sia disturbato da una musica invadente e
fuori posto e che l'ultima parte si areni sulle secche di una prevedibile
retorica: in luogo dell'atteso 'colpo di genio' stilistico si concreta,
così, un buon film di sensibilità antropologica in cui i silenzi contano
assai di più delle parole.. |
Valerio Caprara - Il
Mattino |
promo |
Col suo estro
da viaggiatore turbato dalle ingiustizie del mondo, Bechis narra
l'impossibile rivolta di un gruppetto di indigeni contro il potere
bianco. I giovani indio che non ce la fanno più, vanno nella
foresta e scelgono l'albero più alto per impiccarsi. Gli altri
tentano di sopravvivere, nel Mato Grosso sempre più devastato,
confinati in tristi riserve. Un film di forte denuncia morale e
politica che non vuole assumere mai la dimensione del pamphlet.
Proprio in questo procedere, che permette alla ragione di
prevalere sulla passione, sta la forza del lavoro di Bechis che ha
saputo filmare 'ascoltando' nel senso più pieno del termine coloro
che ogni giorno vivono l'umiliazione di non possedere più assieme
alla terra anche le proprie radici e la propria cultura. |
TORRESINO
- settembre 2008