La promessa dell'assassino (Eastern Promises)
David Cronenberg - Gran Bretagna/Canada 2007 - 1h 40'

"Qualche volta nascita e morte vanno a braccetto" (Anna)

    Ci sono clichè che sembrano inamovibili. L’iconografia cinematografica della mafia russa ce la presenta come truce e sguaiata (l’ultimo riferimento è La 25a ora di Spike Lee), difficile pensarla invece come cornice di una riflessione sull’amarezza del destino, sul disperato istinto di sopravvivenza di ogni individuo, sulla complicità redentrice che lega oppressi desiderosi di vendetta e una legalità messa alle corde, sulla forza rasserenante di una piccola nuova vita.
E nel tessere la trama di tante istanze
David Cronenberg riesce ancora una volta ad essere se stesso e ad imporre il proprio universo d’autore fatto di cupi segnali di disfacimento morale, di violenza estrema, essenziale ed esemplare. Una gola squarciata, una giovane partoriente che inonda di sangue il pavimento, un neonato avviluppato nei residui del liquido amniotico, nel sangue del parto, nei tubi dell’incubatrice… Vite spezzate, morti premature, esseri umani che si aggrappano alla vita con disperata naturalezza. Quel bambino fa da fulcro per la storia di La promessa dell’assassino: Anna (Naomi Watts), l’ostetrica che lo accudisce, se ne fa carico (ha sulle spalle una gravidanza, e una relazione, non andati a buon fine) e cerca di tradurre il diario (in russo) della giovane Cristina morta durante il parto. Anche Anna ha origini russe, ma lo zio a cui affida la traduzione la mette in guardia sul pericolo di addentrarsi nei fatti privati di persone e mondi che non conosce. Troppo tardi. Anna è andata a cercare informazioni presso il ristorante dove Cristina lavorava, ha conosciuto Semyon (Armin Müller-Stahl), il padrone del locale, gli ha inopinatamente rivelato l’esistenza di quel diario. Entrando in quel ristorante Anna ha varcato la soglia di un mondo infido e crudele: Semyon (mandante di efferati delitti, cinico stupratore di minorenni) è il boss del clan malavitoso Vory v zakone (letteralmente: ladri nella legge), accanto a lui si muove il figlio Kirill (Vincent Cassel), depravato e insicuro e Nikolaj (Viggo Mortensen) autista e “becchino” che esercita su Kirill, su Anna (e sullo spettatore) un fascino ambiguo e misterioso. Troppi i segreti che si celano dietro la sua maschera statuaria e laconica, ma, ci racconta Cronenberg, “nelle prigioni russe la tua vita è scritta sul tuo corpo” e i tatuaggi che ricoprono quello di Nikolaj narrano delle lotte e degli intrighi di cui è figlio, e le stelle, che con l’affiliazione alla mafia gli vengono impresse sulle ginocchia e sulle spalle, diventano il passpartout per un’iniziazione di fratellanza e tradimento. Il suo corpo tatuato e nudo sarà il protagonista assoluto di un’agghiacciante lotta all’ultimo sangue in un bagno turco: una brutalità “messa a nudo” senza risparmio di colpi, un accavallarsi di corpi lacerati e sanguinati, una violenza animalesca che non dà tregua, una sequenza di cinema angosciante e memorabile.
Ma il fascino, più straziante che perverso, di
La promessa dell’assassino non scaturisce solo dalla “documentazione” dell’abbrutimento che contraddistingue quel mondo sotterraneo che popola la “civile” Londra d’oggi (le esibite scene di sesso e violenza, l’avrete capito, lo consigliano solo a stomaci forti), ma dai sommessi momenti di “buio” che avvolgono i personaggi, l’evolversi del racconto stesso, la spiazzante identificazione dello spettatore. Con una mirabile scelta stilistica Cronenberg riesce a far si che il vero protagonista di questo suo noir sia la voce fuori campo e, ormai “fuori storia”, della povera Cristina. Nelle parole che escono dal suo diario, il tragico racconto della sopraffazioni subite sembra alla fine perdere la sua battaglia (narrativa) rispetto all’invitta forza dei sogni e delle speranze che hanno dato fiducia al suo esistere. Al quel suo commovente “sono venuta a Londra per trovare una vita migliore” fanno eco, in contrappunto, l’immagine rasserenante di Anna, che fuggita dal caos della metropoli trova nell’essere madre (adottiva) il giusto senso per la sua vita, e quella cupa e solitaria di Nikolaj, preso inesorabilmente dal suo ruolo (moralizzatore, ma non per questo meno asfittico) di nuovo padrino della mafia russa londinese. Come in
A History of Violence Viggo Mortensen, non-eroe di Cronenberg film successivo in archivio, è un vincente dal sorriso spento, prigioniero di una realtà, lì familiare qui criminale, segnata da un futuro di profonda, amara incertezza.

ezio leoni - La Difesa del Popolo  23 dicembre 2007


promo

La mafia russa come cornice di una riflessione sull’amarezza del destino, sul disperato istinto di sopravvivenza di ogni individuo, sulla complicità redentrice che lega oppressi desiderosi di vendetta e una legalità messa alle corde, sulla forza rasserenante di una piccola nuova vita. Nel tessere la trama di tante istanze David Cronenberg riesce ancora una volta ad essere se stesso e ad imporre il proprio universo d’autore fatto di cupi segnali di disfacimento morale, di violenza estrema, essenziale ed esemplare. Una furia coreografica e insieme un'aderenza sentimentale che stringono il cuore.

TORRESINO - gennaio 2008

film del week-end precedente film successivo presente sul sito