Il
mondo giovanile, questo sconosciuto: dentro e fuori la famiglia,
dentro e fuori la scuola, in ambienti e situazioni che evidenziano
isolamento, insicurezza e un bisogno di riferimenti certi, di affetti
rasserenanti. Uno skate come compagno, Paranoid Park come meta: i
teenager di Portland, disegnati, in 35 e 16 mm, dalla cinepresa
ipnotica di Gus Van Sant, si librano in volo spinti da una “magica”
forza d’inerzia e dalla loro dirompente vitalità, tesi ad una
trasgressione civile conclamata, ma che in fondo non va oltre
l’estraniarsi dalla quotidianità, dall’abulia del vivere, per
partecipare ad un liberatorio momento di aggregazione. Un ritrovarsi
apparentemente solo “sportivo”, ma che in realtà scaturisce di una
solitudine profonda e che, tra un’evoluzione e l’altra, in quell’esclusivo
giardino di cemento, cerca un’improbabile affrancamento dalla comune
insoddisfazione.
Alex, il protagonista di
Paranoid Park,
approda a quel malfamato luogo di esibizione/allenamento («Nessuno
ha l'età giusta per frequentarlo») con l’adolescente imbarazzo di
chi dovrebbe sentirsi pronto per una risolutoria iniziazione. Non ci
troviamo di fronte alla iperreale descrizione di una devianza violenta
(Elephant),
ma all’istantanea, altrettanto sgomenta, di un dramma destabilizzante
che nasce dalla casualità, da un incidente inaspettato e macabro che
l’animo ingenuo e debole di Alex cerca disperatamente di cancellare
dai propri ricordi e dalla propria coscienza.
Gli asfittici rapporti coi genitori (ripresi in secondo piano, di
spalle; disposti a fare domande, ma incapaci di proporre risposte), il
difficile relazionarsi tra i sessi (con la disarmante superficialità
di Jennifer di fronte alla verginità), la tenerezza di un contatto
d’amicizia sincero (anche se il confronto con Macy sui temi sociali
resta problematico per Alex), la valenza terapeutica dello scrivere,
di una (auto)confessione liberatoria… I tasselli del diario
esistenziale di Alex sono orchestrati da Van Sant con la immediatezza
di un racconto rubato alla concretezza del reale (il soggetto esce dal
romanzo-verità di Blake Nelson, i protagonisti sono esordienti,
trovati attraverso Myspace), ma destrutturato nel rimescolamento dei
piani temporali e dei punti di vista, sublimato dal contrappunto
sonoro che mescola le sonorità underground di Elliott Smith ed Ethan
Rose con le soavi musiche di Nino Rota.
Quei fogli bruciati a suggellare la rimozione di un’angoscia interiore
(e del senso di colpa?) non bastano a scaldare il cuore di Alex. Il
vuoto di senso che pervade
Paranoid Park
è come un gelido brivido che deborda dallo schermo e ci entra sotto
pelle.
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