Milk
Gus Van Sant
– USA
2008
- 2h 8'
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miglior attore protagonista (SEAN PENN)
miglior sceneggiatura originale (DUSTIN LANCE BLACK) |
Tra
i migliori registi in attività oggi, Gus Van Sant
alterna film decisamente
indipendenti con produzioni mainstream, più tradizionali e interpretate da
star. Quel che è certo, è che non fa mai cose banali. Come in questo Milk,
biografia dell'attivista gay "nominata" all'Oscar (e prima ai Golden
Globes), sia come miglior film sia per l'interpretazione (davvero
notevole) di Sean Penn. Compiuti da poco i quarant'anni, Harvey Milk si
trasferisce con il compagno Scott nel quartiere popolare di Castro, San
Francisco, che sta diventando porto franco per gli omosessuali, all'epoca
apertamente perseguitati, picchiati, additati al pubblico disprezzo come
pericolosi pervertiti. Gradualmente, si scopre una tempra di combattente e
un forte istinto politico, un carisma di eroe per caso che lo obbliga a
farsi paladino dei diritti della comunità gay. Bocciato più volte alle
elezioni non si tira indietro, ma ritenta fin quando, nel 1977, è eletto
nel "board of supervisors" (i consiglieri comunali) di Frisco,
amministrata dal sindaco George Moscone. Da lì, promuove una battaglia
civile per difendere i cittadini dai licenziamenti per orientamento
sessuale; inoltre, deve parare i colpi dell'integralismo religioso
rappresentato da Anita Bryant (una specie di Sarah Palin dell'epoca) e
battersi contro un referendum statale che mira a cacciare dalle scuole gli
insegnanti gay e chi li sostiene. Abile oratore, Milk affronta bene i
dibattiti televisivi; ma soprattutto sa mobilitare le piazze, con l'aiuto
di un gruppo di giovani militanti che ha convinto a sposare la causa.
Anonimamente minacciato di morte, non sa che il vero pericolo viene da un
collega, Dan White, altro consigliere eletto insieme a lui dietro la cui
"normalità" di padre e marito esemplare si cela la follia. Nei casi di
biopic basati su vicende reali, è uso compiacersi se il regista non fa il
santino del protagonista. In
Milk, però, c'è parecchio di più. Van Sant
immerge lo spettatore in un perfetto contesto d'epoca, mischiando la
pellicola nuova (trattata con colori anni 70, alla "Woodstock") a riprese
di repertorio, con l'aggiunta di idee originali: come lo split-screen, il
mosaico visivo che suddivide lo schermo in tanti piccoli schermi, a
restituire il corrispondente visivo del "passaparola". Altro merito,
quello di non enfatizzare o additare troppo gli elementi già "forti" del
film: come la trasformazione della politica in spettacolo, per la quale
gli anni 70 furono decisivi, o una sorta di fatalismo drammatico implicito
negli eventi (alcuni degli amanti di
Milk si tolsero la vita).
Saggiamente, il regista sceglie la via del dramma a freddo, mentre delega
l'implicita essenza melodrammatica alle note di "Tosca", opera molto amata
dall'attivista. Quanto a Penn (ma ai Globes gli è stato preferito Rourke),
si cala nel personaggio con l'intensità dolente degli adepti del "metodo"
Actor's Studio, tirando fuori la parte femminile che è in lui, come in
ciascun uomo. Lo contrasta bene Josh Brolin, che abbiamo appena visto
nella pelle di George W. Bush. |
Roberto Nepoti – La
Repubblica |
Un
ritratto insolito quanto straordinario, dominato da un Sean Penn oltre
ogni elogio. L'impagabile spaccato di un'epoca, rievocata dal punto di
vista eccentrico e rivelatore di una minoranza. Una testimonianza
commovente e insieme fuori dagli schemi che vale anche come monito per la
difesa di tutte le minoranze e dei loro diritti. Oggi come ieri.
Otto nominations non sono troppe: il
Milk di Gus Van Sant è tutte queste
cose insieme. Ma non pensate a un facile "biopic" d'autore, o a un santino
della controcultura. Per raccontare la parabola di Harvey Milk, il
leggendario attivista gay e poi consigliere comunale di San Francisco che
negli anni 70 segnò una svolta storica nella lotta per i diritti degli
omosessuali fino a quando fu ucciso da un collega nel novembre 1978, Gus
Van Sant sceglie una strada meno spericolata di quella di
Elephant,
Last
Days o Paranoid Park, ma evita con cura le lusinghe più spettacolari del
genere. E non rinuncia alla libertà di tono che rende il suo cinema sempre
così caldo e personale.
Ecco dunque Milk, gay ancora "invisibile" nella New York del 1970,
trasferirsi col neocompagno Scott (James Franco) nella più aperta e
tollerante San Francisco. Eccoli aprire un negozio di macchine
fotografiche nel sobborgo popolare di Castro, tradizionalmente abitato da
morigerati cattolici irlandesi, gettando le basi di quello che diventerà
uno dei quartieri gay più famosi d'America. Ecco, mentre si scontrano con
l'intolleranza quotidiana dei vicini e con arresti e pestaggi continui,
prendere forma una carriera politica e un destino. Che Gus Van Sant
dettaglia a piccoli tocchi, usando la geniale e sempre imprevedibile
illuminazione del fido Harris Savides, ma anche salti di tono e
digressioni che mantengono il film in sapiente equilibrio fra politico e
quotidiano, vita pubblica e vissuto individuale.
È una strada rischiosa, ma è quella che consente al film di evitare le
trappole della celebrazione, malgrado qualche lentezza nella parte
centrale. Milk combatte e vince molte battaglie ma ci mette un po'a essere
eletto, e Van Sant racconta anche questo. Sullo schermo non c'è solo la
lunga e difficile lotta contro la temibile Proposition 6 (avversata
perfino da Reagan), che mira a "ripulire" le scuole dagli insegnanti gay.
Ci sono anche le retrovie, gli intrighi, le astuzie, il piccolo
cabotaggio. E gli alti e bassi della vita privata di Milk, il suo staff,
le amicizie, gli amori, le esaltazioni e le depressioni.
Fino a quella morte assurda, una scena che vale da sola il film. Perché
nessuno come il regista di
Elephant sa filmare il momento così "americano"
in cui la normalità trapassa in follia, la rabbia in delitto. E di colpo,
come ci ricorda il nastro-testamento inciso da Milk quando iniziò a temere
di venir ucciso, per milioni di persone diventa impossibile dire "noi". |
Fabio Ferzetti – Il
Messaggero |
promo |
Non un facile "biopic"
d'autore né un santino della controcultura. Per raccontare la
parabola di Harvey Milk, il leggendario attivista gay e poi
consigliere comunale di San Francisco che negli anni 70 segnò una
svolta storica nella lotta per i diritti degli omosessuali fino a
quando fu ucciso da un collega nel novembre 1978, Gus Van Sant
evita con cura le lusinghe più spettacolari del genere e non
rinuncia alla libertà di tono che rende il suo cinema sempre così
caldo e personale. Lo spaccato di un'epoca, rievocata dal punto di
vista eccentrico e rivelatore di una minoranza. Una testimonianza
commovente e insieme fuori dagli schemi. Otto nominations non sono
troppe. |
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LUX
- febbraio 2009
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