A History of Violence
David Cronenberg -
USA 2005 - 1h 30'



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     Tutt'altra riflessione critica quella che genera A History of Violence, accomunabile a Memorie di una geisha solo per alcune contraddizioni “di partenza”, legate all’origine letteraria. Ispirato alla «graphic novel» di John Wagner (script) e Vince Locke (chine), già messo in sceneggiatura da Josh Olson, il progetto è stato rielaborato da Cronenberg che lo ha epurato dei clichet italo-mafiosi facendolo implodere in una vicenda familiare ancorata all’american way of life piuttosto che alle standardizzate atmosfere di una società criminalmente infetta.
L’angoscia profonda, classica del cinema di Cronenberg
film successivo in archivio, parte per sottrazione: la crudeltà con cui, nell’incipit, due ignoti assassini “pagano il conto” prima di lasciare il motel, resta come una minaccia sospesa poiché la narrazione procede poi in una tranquilla comunità del Midwest ove la macchina da presa mette a fuoco la serena vita familiare di Tom Stall (Viggo Mortensen - Il signore degli anelli) e Edie (Maria Bello) e dei loro figli, la piccola Sarah e Jack, adolescente: all’incertezza della sua età fanno capo le uniche occasioni di screzio (in ambito scolastico), per Tom e Edie è solo la passione sentimentale a dare squarci di vivacità alla normale routine. Quando i due balordi di cui sopra entrano nel bar di Tom, non si fa neppure in tempo ad allarmarsi perché la violenza esplode improvvisa e i due rimangono uccisi dalla pronta, inaspettata reazione dell’ordinary man. La caratterizzazione dell’eroe che subito i media propongono stride con l’immagine pubblica e privata di Tom (“sei l’uomo più buono che abbia conosciuto” gli sussurra la moglie), ma altri segnali disturbanti vengono a minare la pace della comunità e del nostro percorso cinematografico. Loschi figuri si presentano a Tom chiamandolo Joey, dicono di riconoscere in lui un loro vecchio compagno… L’incertezza sale insieme alla tensione, la serenità si trasforma progressivamente in incubo, ogni azione sembra ineluttabilmente sfociare nella brutalità. Ciò che A History of Violence mette in campo è l’ambiguità del cittadino comune, il peso di un passato che nasconde oscuri segreti, la lealtà dei rapporti interpersonali, la violenza insita nella natura umana (sottigliezze nel significato del titolo: non solo “una storia della violenza”, ma anche il richiamo ad una storia/un passato legati alla violenza). Ma dal piano individuale è facile, coi tempi che corrono, passare alle problematiche di un eroe americano troppo idealizzato (l’atmosfera western non è poi così velata), di un dovere/diritto di farsi giustizia da sé, di usare ogni mezzo per difendere i propri affetti e la propria privacy.
Il punto è che Cronenberg narra tutto ciò attraverso l’efficacia di un cinema che procede per impulsi, che sembra placarsi per poi lasciare attoniti con subitanei sprazzi di sangue e morte, un cinema duro e quasi sgradevole ma che invoglia a reiterare la visione per coglierne particolari (anche ostici) che restano come flash incompiuti nella memoria dello spettatore. Ma anche di fronte ad una sola proiezione non si può non restare inchiodati dal senso di frustrazione per il malessere non arginabile che trasborda dallo schermo, non si può non archiviare nel proprio immaginario cinematografico alcuni intarsi memorabili di opprimente tragedia e fulgido stile: come quel livido sulla schiena di Edie dopo un’infuocata scena di sesso o come quei gesti silenziosi che accompagnano il ritorno a casa di Tom, il suo “rasserenante” risedersi al desco familiare.

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  25 dicembre 2005


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