Se
la teoria psicanalitica diventa spesso un metodo trito e semplicistico
per interpretare l’opera d’arte e, ancora di più, ogni fenomeno
narrativo, per il cinema di
David Cronenberg, quello stesso procedimento, si tramuta in un legame
ambiguo e pericoloso; un elemento in grado di disturbare l'ordine
razionale e costituito delle cose.
A Dangerous Method
rappresenta all’interno della filmografia di
Cronenberg
un passaggio delicato e necessario di messa in scena delle origini: il
racconto, in apparenza solo e semplicisticamente, austero e lineare di
uno dei passaggi cruciali e risaputi nella genesi della psicanalisi
all’inizio del secolo scorso. Il film si concentra infatti sul
singolare ménage à trois che a partire dal 1904 si instaura tra Carl
Gustav Jung, Sabina Spielrein e Sigmond Freud: dapprima ricoverata
come paziente isterica nella clinica del giovane Dott. Jung, la
Spielrein sarà il catalizzatore di un processo di discussione e
rinnovamento che investirà l’allievo prodigio Jung nei confronti del
maestro (e “padre”) Freud, in un confronto in grado di cambiare la
natura del pensiero moderno. Se, dunque, i fatti biografici, sono - e
dovrebbero essere - parte di una conoscenza diffusa e iscritti in una
nomenclatura esacerbata da un detrimento mistificatorio proprio di una
comprensione labile e arrendevole, l’approccio filmico da parte di
Cronenberg al testo di Christopher Hampton (sceneggiatore prediletto
da Stephen Frears :
Le relazioni pericolose,
Mary Reilly,
Chéri; ma anche di
Espiazione
di Joe Wright e
The Quiet American
di Philip Noyce nonché regista di
Carrington
e L’agente segreto) è del tutto personale e sotteso a un’indagine che
spinge all’estremo la compostezza della forma per far emergere la
tensione della parola.
“Io non credo alle coincidenze, io penso che nulla accada per caso,
tutto ha un significato”, dice lo Jung cronenbergiano, antieroe
scisso e controverso, sperso a controllare faticosamente e
razionalmente l’enorme tentazione delle pulsioni alle quali lo
sottopone il suo percorso di conoscenza e esplorazione analitica. Ed è
in questa trama che ritroviamo l'ossessivo rimando al continuo
peregrinare dello sguardo dell’autore: tutto ha un significato e
dunque un significante, limpido, protervo, e di un rigore
austro-ungarico nell’acribia con cui cesella pochi e intensissimi
movimenti di macchina intenti a favorire un piccolo sommovimento o una
lacerante disgregazione dell’animo. Ritroviamo una composizione
controllata e artefatta in cui la profondità di campo è quasi del
tutto annullata e la distanza tra due soggetti viene appianata in un
unico piano di messa a fuoco, in una sorta di dialogo con l’inconscio
che coinvolge quasi esclusivamente Jung in rapporto di volta in volta
con l’amata Spielrein, la moglie Emma - finanziariamente necessaria -
, Freud ideologicamente irremovibile, ma anche con un bambino appena
nato, o con il dettaglio delle lettere scritte a Freud in mano al
paziente Otto Gross.
La forma di
A Dangerous Method
rimanda ad una perfetta geometria della triangolazione, che
rappresenta in fondo lo schema ideale su cui prolifera il desiderio.
Ed ecco allora che, tra una sequenza e l’altra, appare sempre più
evidente che le ossessioni di Cronenberg non sono affatto sparite, ma
anzi si sono assoggettate ad una logica di controllo plasmante, perché
“Il piacere non è mai semplice” e ogni elemento di questo
triangolo vive e sperimenta (sulla propria carne) l’impulso devastante
del desiderio e la sua veemente negazione. Dopo
A Dangerous Method
non può che essere la parola il nuovo demone infetto che germina
dall’uomo. I personaggi sono pedine lacerate del desiderio, ingabbiate
in controversie verbali che fanno da contraltare a dissidi interiori e
rapporti di forza: l’intenso carteggio tra Freud e Jung, a cui si
aggiunge anche la Spielrein, rappresenta da solo un nuovo modo di
delineazione della suspance drammatica, per cui avvengono grandi
cambiamenti senza mai un equivalente riscontro nei gesti e nei volti
dei protagonisti.
La mutazione c’è, ma ora non appare più come un fatto emblematico
della visione, e per questo riesce a essere ancora più potente e
deflagrante perché già se ne conoscono gli effetti (“Secondo voi lo
sanno che stiamo arrivando a portare loro la peste?” dice Freud
all’arrivo della nave a New York) sia storici (la Guerra Mondiale è
alle porte) che individuali: la portata innovativa della psicoanalisi
ha minato dall’interno i vecchi pilastri della comprensione
dell’essere umano, conducendo a un radicale cambiamento delle
abitudini sociali e sessuali. Ed è anche grazie a questa spinta che
esiste il cinema di David Cronenberg. E nel volgere paralizzato lo
sguardo, lo Jung nell’ultima sublime inquadratura, cristallizza tutta
l’inquietudine perturbante dell’uomo seduto di fronte a se stesso, in
un rimando proiettivo dello spettatore davanti alla luce di questo
cinema.
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