Cosmopolis
David Cronenberg -
Canada/Francia
2012
- 1h 48' |
Annunciato
come uno dei grandi eventi del festival di Cannes,
Cosmopolis
di
David Cronenberg mantiene le attese ma lascia anche qualche punto di
domanda, come se il regista canadese fosse rimasto un po’ troppo
«soggiogato» dal testo di Don DeLillo, finendo per rispettano fin troppo.
La storia è, con qualche alleggerimento, quella del romanzo omonimo: un
viaggio in limousine attraverso New York (girato a Toronto) per portare un
giovane squalo della finanza (Robert Pattinson, sempre molto vampiresco) a
tagliarsi i capelli in un negozietto legato al ricordo del padre. Nel
tragitto, complicato da ingorghi e manifestazioni no global, incontra la
moglie (con cui ha un legame piuttosto lasco) poi collaboratori, amici,
amanti e nemici, prendendo ogni volta più coscienza dei propri errori,
finanziari ma anche esistenziali. Lo fa con lunghe e a volte contorte
chiacchierate, che scandiscono questa specie di discesa verso gli inferi
del Denaro e dell’Uomo:
Cronenberg li mette in scena con semplice efficacia (campo/controcampo)
usando gli spazi angusti della limo per dimostrare tutto il suo talento di
regista, capace di trasmettere a volte un senso di claustrofobia a volte
quello di una tana tecnologica (i video si sprecano). I «dubbi», dovuti
forse a una sola visione (l’opera è decisamente complessa), nascono dallo
squilibrio dialoghi/immagini, troppo sbilanciato a favore del primo, come
se il regista di
Crash
o di
Spider
avesse trovato una tale consonanza tra le proprie ossessioni e quelle
raccontate da DeLillo (che nel 2004 intuisce e anticipa la crisi di Wall
Street) da esservisi un po’ «adagiato», senza un più personale lavoro di
rilettura.
|
Paolo Mereghetti -
Il Corriere della Sera |
Erick
Packer è un brillante giovane che controlla gli oscuri meccanismi
dell'alta finanza. Tutto è a sua disposizione, a partire da una limousine
bianca con tanto di autista e guardia del corpo. È una giornata difficile
per Manhattan. C'è il Presidente degli Stati Uniti in visita e la
viabilità è stata rivoluzionata. Ma Erick ha un obiettivo preciso: vuole
raggiungere il suo parrucchiere di fiducia che sta all'altro capo della
città. Per fare ciò è disposto ad affrontare le sommosse contro la
situazione economica che stanno mettendo a ferro e fuoco New York. È
pronto anche a trovarsi dinanzi colui che, secondo più di un segnale
attendibile, vuole ucciderlo.
A
David Cronenberg va riconosciuto il merito di non aver mai smesso di
sperimentare pur conservando intatte le proprie tematiche di fondo. In
questa occasione si potrebbe dire che la sperimentazione ha inizio dal
casting. Scegliere (con alle spalle un produttore rigorosamente cinefilo
come Paulo Branco) Robert Pattinson come protagonista poteva essere un
azzardo privo di ritorni oggettivi. Sia chiaro: a differenza di quanto
alcuni scrivono questo non è l'unico film che ha liberato la star della
saga di
Twilight dai canini. C'è stato anche (con uscita anteriore nelle
sale) l'apprezzabile Bel Ami di Declan Donnellan e Nick Ormerod. Qui però
il giovane attore idolo delle adolescenti affronta una prova ancor più al
limite della precedente e, dal momento in cui si toglie gli occhiali
scuri, riesce a superarla. Cronenberg lavora sul libro di DeLillo
rispettandone (forse troppo) la struttura che si basa sui dialoghi ma
apportandovi anche significativi cambiamenti. La limousine in cui Packer
si rinchiude diventa metafora di un mondo economico impermeabile alla
realtà. “Ciò che è attuale è troppo contemporaneo” (come afferma uno dei
personaggi) e quindi è meglio prenderne le distanze per poter riprodurre
dinamiche di rapporto che prevedono scambi (sessuali e non) che implichino
il minimo possibile di sentimento. In un mondo sconvolto in cui i ratti
divengono l'eloquente simbolo della voracità senza controllo non resta che
perseguire l'estetizzante simmetricità che i fatti smentiscono a ogni giro
di ruota dell'ingombrante mezzo di trasporto. Ecco allora che una prostata
asimmetrica si ritrova a fare il paio con un taglio di capelli che viene
completato da una sola parte. Sarà proprio questa doppia asimmetricità a
spingere Packer tra le braccia (e dinanzi al mirino di un'arma) di chi lo
bracca da anni. Perché va sanzionata la falla nella vita di chi domina,
sempre meno occultamente, le sorti degli altri mentre presidenti privi di
effettivo potere democratico intasano le strade. Cronenberg ce lo ricorda
in un dramma claustrofobico (anche quando va in esterno) in cui sembra
però che l'apprezzabile tesi abbia un po' tarpato le ali al suo talento
visionario. |
Giancarlo Zappoli -
www.mymovies.it |
I
titoli di testa scorrono su una pergamena dove non si riversano più parole
ma gocce d'inchiostro, macchie disordinate e inintellegibili. Ed è una
specie di ouverture astratta che condensa in sè tutto il senso - o faremmo
meglio a dire il nonsense - dell'operazione pensata dal regista canadese.
Cosmopolis
si rivela come il punto di non ritorno, la zona morta, della sua lunga e
straordinaria carriera.
Un esito che probabilmente farà storcere il naso ai fedelissimi
dell'Autore prima maniera e del suo cinema viscere e pancia, quando invece
si tratta probabilmente di una naturale, terrificante evoluzione. Il
frutto di uno stesso metodo. Dangerous, certamente. Ma almeno onesto. E il
riferimento al titolo precedente - per molti spiazzante, per altri
semplicemente deludente - non è casuale: è allora che il suo lavoro ha
manifestato i primi segnali di apparente discontinuità: una messa in scena
iper-controllata, ai limiti dell'astrazione; una pulizia formale e una
recitazione distaccata e straniante, neanche fossimo a teatro; quell'uso/abuso
di parole e di interminabili strisce di dialogo e sequenze letterarie.
Quel procedimento che allora apparve ai più un passo falso, un passo
indietro - chiamatelo come vi pare - era invece un ulteriore salto
poetico: dopo aver indagato, riflettuto, inquadrato, ogni tipo di
mutazione corporale, carnale, ancora umana, Cronenberg ha deciso che
l'ultima metamorfosi possibile era oltre la devastazione dei corpi, della
carne e - se ancora oggi questo termine può avere un senso - dell'umano.
Il nuovo mutante è anzi esteticamente piacevole, curato, elegante. Quanto
di più vicino a un bell'esemplare di essere umano vivo. Solo che non lo è,
o non lo è più. Intuendo la radicale provocazione lanciata da De Lillo nel
suo
Cosmopolis -
che a sua volta non identifica New York e non è forse nemmeno una città ma
il simulacro metonimico di ogni possibile città del mondo
post-capitalistico - Cronenberg dipinge un'umanità che sembra venuta fuori
da un'opera di Rotko (citato nel film): totalmente anaffettiva e lontana,
bidimensionale e fredda [...]
C'è sempre qualcosa di orribilmente assurdo e terrificante e farsesco e
tragico nel modo in cui Cronenberg immagina la via crucis di Eric verso
quella che sembra (ma non è) una presa di coscienza: avvertiamo una
ticchettante afasia di tono, come se non ci potesse essere più nemmeno un
tono per raccontare una storia. E' indifferente. E, d'altra parte, quale
storia racconta
Cosmopolis?
La progressione drammaturgica è solo apparente. Tutte le volte che Eric
vuol prendere una decisione, agire, non può. Le sue sono azioni monche.
Non taglierà (se non una parte) i capelli e non farà sesso con la moglie.
D'altra parte il sesso stesso è diventato scambio di quelle informazioni
che sono i corpi, spie di elementari bisogni fisiologici (è la stessa
moglie di Eric a definire il corpo del marito un veicolo informativo,
quando gli fa notare che "emette odore di sesso"). Restano le
speculazioni, parole e parole, che escono dalla bocca ed entrano nelle
orecchie senza provocare più nulla. Senza dire più nulla.
È programmaticamente verboso l'ultimo Cronenberg, perché il limite del
parossismo verbale è il silenzio, il segno che non rimanda più a nulla se
non a se stesso. E' qui che si può scorgere l'ultima mutazione possibile,
la perdita della presenza reale in un'umanità disincarnata, già post.
Dentro un veicolo che sembra una sala di regia, dove è possibile rivedere
tutto (che tanto non c'è più nulla di originale da vedere, nulla che non
sia già accaduto, ri-preso), controllare tutto e schermare tutto ciò che
avviene là fuori, Cronenberg si siede assieme al suo Pattinson (perfetto
nella sua faccia da stoccafisso, incapace di esprimere una qualsiasi
reazione che provenga dall'interno) per guidarci verso l'ultimo giro di
boa del Capitale, oltre il quale non c'è più violenza (richiederebbe un
motivo), non c'è più morte e probabilmente non c'è più cinema. Ma solo un
bel Niente. |
Gianluca Arnone -
www.cinematografo.it |
promo |
New York. Eric Packer è un ventottenne multimiliardario che una
mattina decide di attraversare tutta la città sulla sua lussuosa
limousine per andare dal vecchio barbiere di suo padre a farsi
tagliare i capelli. Dalla sua auto Eric controlla i mercati
azionari e si dispera per l'andamento dello yen, che rischia di
mandare a monte il suo impero finanziario. Tutto nell'arco di
ventiquattro ore, durante le quali il giovane incontra le persone
più disparate, costantemente protetto dalle sue guardie del corpo
che temono possa essere assassinato da un momento all'altro... Una
specie di discesa verso gli inferi del Denaro e dell’Uomo:
Cronenberg li mette in scena con semplice efficacia
(campo/controcampo) usando gli spazi angusti della limo per
costruire un dramma claustrofobico, in piena consonanza tra le
proprie ossessioni e quelle raccontate da DeLillo nel suo libro. |
cinélite
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