Midnight in Paris
Woody Allen - USA/Spagna 2011 - 1h 34'

Le idi di marzo (The Ides of March)
George Clooney - USA 2011 - 1h 41'

The Artist
Michel Hazanavicius - Francia 2011 - 1h 40'

miglior sceneggiatura originale

Venezia 68 - Concorso

miglior film
miglior regia
miglior attore protagonista
migliori costumi
miglior colonna sonora

    Ci sono voluti oltre quarant’anni e oltre 40 film perché Allen rivelasse a se stesso (e al pubblico) che l’essenza del (suo) cinema è l’incanto del fantasticare, il mettere su pellicola (e su schermo) l’intarsio prezioso di mai sopite riflessioni esistenziali e di appassiona(n)ti miti culturali. Con Midnight in Paris Woody va oltre l’affresco introspettivo e metropolita di Manhattan e oltre il gioco metalinguistico de La rosa purpurea del Cairo, immergendo il suo protagonista (Gil, Owen Wilson) in una Parigi di struggente fascino, oasi vintage per ogni pulsione sentimentale e artistica. L’apertura del film già annichilisce lo sguardo in una sequenza di soave e rasserenante carineria fotografica (Darius Khondji), ma non è una citta-cartolina quella di Midnight in Paris, piuttosto un angolo di paradiso in cui sbiadisce la retorica del reale e si materializzano i sogni.


Gil Pender arriva nella Ville Lumiere per una vacanza lontana dalla routine degli script cinematografici hollywoodiani, in cerca della definitiva ispirazione per il suo primo sospirato romanzo. E mentre la sensuale fidanzata Ines (che preferisce di gran lunga la California all’Europa) e i futuri suoceri (agiati repubblicani reazionari) provano invano a sintonizzarlo sui prossimi impegni matrimoniali, gli capita di trovarsi solingo e spaesato a Montmartre mentre scocca la mezzanotte... Un’auto d’epoca gli dà un passaggio e di colpo Gil si trova catapultato in un mondo altro, in una “festa mobile” dove i convitati si chiamano Scott Fitzgerald e Zelda, Ernest Hemingway, Cole Porter, T.S. Eliott e Gertrud Stein (Kathy Bates!), Picasso e la sua amante Adriana (Marion Cotillard), Matisse, Dalì, Man Ray e Buñuel; e pure Toulouse Lautrec, Gauguin e Degas…



Bastano i nomi per descrivere l’atmosfera di questo straordinario milieu culturale? La ronde, confidenziale e ironica, tra il gotha dell’Allen-pensiero scorre con amabile leggerezza, memore della nostalgia impressionista di Minnelli
film precedente in archivio, ma ci sono due concetti cardine che restano ad inquadrare questa esperienza cinematografica del nostro. Da una parte la coscienza che se l’insoddisfazione del presente mira a mitizzare il passato, in realtà l’Età dell’oro agognata è relativizzabile di epoca in epoca (per Gil gli anni Venti, per Adriana la Belle Epoque, per Gauguin e Degas il Rinascimento); dall’altra l'illusione che l’angoscia della finitezza della nostra vita (tormentone costante della filmografia “love and death” di Allen) possa essere esorcizzata solo in un rapporto sentimentale di cocente passione, in cui per un attimo “trovare tregua” (Hemingway docet).

 

    Non sfigura nel confronto il dramma “presidenziale” diretto da Clooneyfilm precedente in archivio Le idi di marzo, in cui il bel George impersona un governatore impegnato nelle elezioni della convention democratica. Accanto a lui il giovane pressagent Ryan Gosling (vero protagonista, ambizioso e tormentato), lo spin-doctor Philip Seymour Hoffmann e il suo antagonista repubblicano Paul Giamatti.

C’è anche una maliziosa stagista (Evan Rachel Wood) a suggellare un’interpretazione complessiva magistrale, ma ciò che resta, pregnante, è l’humus insidioso di un mondo cinico e spietato. Gli intrighi non sono quelli della corruzione, ma quelli dell’arrivismo e del potere, che minano i rapporti umani e destabilizzano gli ideali. Clooney usa la politica come thriller morale (“una cosa sola conta, essere leali. Se non lo sei, non sei nessuno”) e, a fronte di un impeccabile costrutto cinematografico, il senso di amarezza che ne esce è soffocante.


 

    Giusto un accenno per The Artist, originale reinvenzione di un film muto in bianco e nero che riesuma la comunicazione del cinema fine anni ‘20 con tanto di recitazione manierata e cartelli-didascalia. La trama corre sul binario parallelo di una carriera maschile in declino (George Valentin, divo “senza parole”) e del successo di Peppy Milller, attrice rivelazione del sonoro; e sul loro amore ineluttabile che appianerà ogni cosa.

La fascinazione ipercinefila di
The Artist funziona a ritmo alternato, brilla in apertura, latita nel corpo centrale, si riscatta nel finale (grazia anche alla citazione musicale di Vertigo), ma il capolavoro annunciato resta un miraggio. Non è tutto oro quel che luccica in bianco e nero.

ezio leoni - La Difesa del Popolo - 25 dicembre 2011

promo

Gil Pender arriva a Parigi, con la fidanzata e i futuri suoceri, per una vacanza lontana dalla routine degli script cinematografici hollywoodiani, in cerca della definitiva ispirazione per il suo primo sospirato romanzo. Una notte a Montmartre, mentre scocca la mezzanotte, un’auto d’epoca gli dà un passaggio e di colpo Gil si trova catapultato in un mondo altro, gli anni 20 dei suoi miti: Fitzgerald, Hemingway, Cole Porter, Picasso... Straordinaria l’atmosfera del milieu culturale che Allen riesce con leggerezza a ricreare. La sua è una Parigi di struggente fascino, oasi vintage per ogni pulsione sentimentale e artistica, un angolo di paradiso in cui sbiadisce la retorica del reale e si materializzano i sogni. Il cinema come incanto assoluto del fantasticare.

Hollywood, 1927. George Valentin è una star del cinema muto che si trova ad affrontare il proprio declino artistico a causa dell'avvento del sonoro. Al contrario, Peppy Miller, una giovane comparsa, sta per diventare una diva. La fama, l'orgoglio e i soldi metteranno a dura prova la loro storia d'amore... Un film in bianco e nero e completamente muto: la scommessa non poteva essere più rischiosa eppure Michel Hazanavicius l'ha vinta a mani basse, raccogliendo l'applauso caloroso della stampa,l'entusiasmo del pubblico e ben 5 oscar!

Stephen Myers, un giovane e idealista addetto stampa che sta collaborando alla campagna elettorale di Mike Morris, candidato democratico alle elezioni presidenziali americane, verrà a contatto con la dura realtà di una politica fatta di trucchi, inganni e pugnalate alle spalle... Clooney usa la politica come thriller morale e, a fronte di un impeccabile costrutto cinematografico, costruisce un film classico, solido e appassionato, supportato da uno straordinario cast (oltre a Cloney stesso Gosling, Seymour Hoffman, Giamatti e Evan Rachel Wood e Marisa Tomei).
 

cineforum ANTONIANUM/The Last Tycoon 2012-2013


 cinélite giardino BARBARIGO: giugno-agosto 2012   

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SORPRESE FRANCESI

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