Sapevamo che
George Clooney si sente un po' il Clark Gable, un po' il Cary Grant dei
giorni nostri; così come sapevamo che gli piacciono le storie (Good
Night and Good Luck) ambientate nel
passato americano. Con
In
amore niente regole
(Leatherheads), è riuscito a realizzare una sintesi delle due cose,
dirigendo e interpretando un film che è un atto d'amore dichiarato alle
commedie romantiche hollywoodiane della Golden Age e alle relative star:
da Gable e Grant, appunto, a Katharine Hepburn, Miriam Hopkins, Spencer
Tracy.
Siamo nel 1925, all'epoca pionieristica del football americano, e George,
che si chiama Dodge Connolly, è il capitano di una squadra di "teste di
cuoio", i Duluth Bulldogs. Niente miliardi, sponsor o stadi gremiti di
gente, allora: economie all'osso, invece, e botte da orbi in partite senza
regole giocate sotto gli occhi di pochi tifosi (o di una mucca, come si
vede in una delle prime, esilaranti scene).
Dodge però, che è un tipo d'iniziativa, vuole promuovere lo sport del suo
cuore; così persuade un agente a reclutare per la scalcagnata squadra la
star nascente del football Carter "The Bullet" Rutheford, circondato
dall'aura di eroe della prima guerra mondiale (come il famoso sergente
York, avrebbe catturato da solo un reparto di soldati tedeschi: altra
scena spassosa).
Sulle tracce del nuovo acquisto, entra in partita anche Lexie Littleton (Renée
Zellweger), giornalista ricalcata sui modelli cinematografici degli anni
'40: piglio protofemminista, determinazione, scarsa dose di scrupoli.
L'intento della reporter, che si mette al seguito della squadra, è
smascherare Carter e il suo presunto eroismo bellico. S'innesca, a questo
punto, uno schema di gioco tipico del cinema cui Clooney rende omaggio: la
commedia di guerra-dei-sessi, che ebbe per campioni registi come Howard
Hawks e George Cukor.
Mentre sboccia, inevitabile, l'amore, i due litigano come la coppia
Tracy-Hepburn (Lui e lei); senza contare che il nuovo acquisto, infatuato
della giornalista, interviene a vivacizzare il match. George gioca bene
con il repertorio d'epoca, tra risse omeriche, retate della polizia (sono
i tempi del proibizionismo e i giocatori bevono forte), ritmi e colori
esumati dal cinema del tempo che fu. Cura in modo particolare il suo
personaggio, prendendosi in giro (gli avversari lo chiamano "nonnetto")
come ama fare di solito, ma ancora di più, e aggiudicandosi il favore
dello spettatore con un "carattere" di simpatico fanfarone, sleale in
campo e refrattario alle regole (gustosissimo lo stratagemma finale nel
campo da gioco infangato). Meno bene la Zellweger, adepta abituale del
birignao cinematografico che, invitata a nozze dalla parte, s'abbandona
peggio del solito al suo repertorio di vezzi e mossette.
Resta da vedere quanto un film di questo tipo, tutto giocato su memorie
cinefile e consapevolmente démodé, sappia "arrivare" al pubblico del 2008.
In America si è piazzato al secondo posto nella classifica degli incassi;
malgrado il carisma di George, da noi la partita sembra aperta. |
Intervallando
l'impegno di
Good Night and Good Luck, George Clooney ricrea con
intelligenza, finezza e competenza quella commedia sofisticata e romantica
ma a volte socialmente molto evidenziata (La Cava e Preston Sturges
ampiamente citato con
Evviva il nostro eroe!) della Hollywood anni '30.
Nel ruolo di un maldestro giocatore di football americano over 40, il bel Clooney tenta di scritturare un giovane campione che si dichiara,
mentendo, eroe di guerra, finché si mette tra i piedi la solita
giornalista scoop da new deal ed evoca un triangolo sentimentale.
Sceneggiatura sportiva di ferro, ma si fa per dire perché è dolce come
pasta di mandorle e piace al gentil sesso: è film di ricalco animato da un
gusto particolarmente felice. Ai tempi di Hawks il cast sarebbe stato:
Gary Cooper, Barbara Stanwyck al posto della smorfiosetta a fin di bene
Zellweger e Joel Mc Crea, la «testina» di cuoio. |