Man on the Moon
Milos Forman – USA 19991h 58’

da FilmTv (Mauro Gervasini)

     Inizio col botto. Anzi, no: è il finale, esilarante, incontenibile, geniale. Eppure "copre" i primi cinque minuti del film, con i titoli di testa, che poi sono quelli di coda... Scusate il nonsense, ma è impossibile parlare di Man on Moon senza cercare, umilmente, un approccio mimetico con lo stile del comico Andy Kaufman, che è (era) del tutto anarchico e surreale. Filtrato attraverso la sensibilità di Jim Carrey si trasforma in un mix assolutamente esplosivo di accelerazione del ritmo verbale e di sospensione della gag "fisica". Il film, diretto con correttezza formale da Milos Forman, sceglie giustamente di restare funzionale alla vicenda umana dell'artista americano morto a soli trentacinque anni, dopo un'ascesa al successo fatta di alti (e che alti!) e bassi. Kaufman gigante dadaista del piccolo schermo nella sitcom Taxi, corsaro catodico che si accanisce contro le certezze della finzione, i principi della rappresentabilità, l'ontologia della Tv che dispensa le sole verità possibili. E invece, nel film, tutto viene mescolato con maestria: non si capisce mai quando Kaufman/Carrey scherzi o faccia sul serio, quale sua trovata sia frutto di un colpo di genio o di un colpo in testa (letterale, nel caso del wrestling). Man on the Moon non può che subire felicemente la bravura di Jim Carrey e il potenziale comico di Andy Kaufman; nonostante il tentativo di massacro del doppiaggio italiano (che copre anche la versione di Volare cantata dal protagonista!!), colpisce nel segno, se è vero che il pubblico in sala, durante la proiezione, si sente davvero spiazzato, come avesse perduto le coordinate rassicuranti della linearità narrativa. L'abilità di Milos Forman e Jim Carrey sta tutta nell'aver riproposto integro e corrosivo il non riconciliato talento di Kaufman. L'uomo sulla luna di cui in tempi non sospetti cantavano i R.E.M. (autori della colonna sonora) è finalmente tornato sulla terra.

da L'Unità (Alberto Crespi)

     Ogni tanto (sempre più di rado) escono film che si distaccano dalla mediocrità e diventano delle bussole, con le quali orientarsi in questa nostra faticosa modernità. E' successo nel '99 con La sottile linea rossa e con Eyes Wide Shut, succede in questo primo scorcio di 2000 con Man on the Moon. E il nuovo film di Milos Forman, cecoslovacco d'America, pluri-vincitore di Oscar con Qualcuno volò sui nido dei cuculo e con Amadeus. Ed è la storia di Andy Kaufman, meteora comica dello spettacolo americano morto troppo giovane, a 35 anni, nel 1984: brillò nel Saturday Night Live di Belushi & soci e nella sit-com Taxi, ma soprattutto sorprese l'America con i suoi spettacoli lunari e beffardi, con le sue multiformi e misteriose identità. I R.E.M. gli dedicarono nel '92 una bellissima canzone, Man on the Moon appunto, alla quale il film di Forman deve il proprio titolo. Emir Kusturica, che ha studiato cinema a Praga e che di Forman è il più geniale allievo, ha detto una frase che fotografa in modo lapidario lo «stato dell'arte» : «Non capisco come una forma espressiva moderna come il cinema si occupi ancora di una cosa ottocentesca come la psicologia». Man on the Moon è la risposta a questa provocazione: ed è, a sua volta, un film provocatorio. Parte da una sindrome psicologica - Kaufman era un uomo che «usava» la recitazione per non svelare la propria identità profonda: probabilmente era affetto da personalità multipla - non per analizzarla, ma per usarla a sua volta come specchio deformante per l'identità del pubblico, quindi di tutti noi. Kaufman è un situazionista allo stato puro (esattamente come i Sex Pistols: il paragone con la musica punk è nel film ed è quanto mai pertinente): i suoi non sono show ma performances, lo scopo è destabilizzare il pubblico. In teatro la gente vuole che lui faccia Latka, il personaggio di Taxi che gli ha dato la fama? E lui la punisce leggendo dalla prima all'ultima pagina li grande Gatsby di Scott Fitzgerald (la scena è nel film, ed è rigorosamente storica). La gente ama il wrestling pur sapendo che non è sport ma finzione? E lui la provoca proponendosi come campione di wrestling anti-femminista, che sfida esclusivamente le donne. E così via. Man on the Moon non è banalmente un'analisi del confine, sempre più labile, fra finzione e realtà; né una parabola sull'invadenza dei media nella nostra vita. E' la rappresentazione - lucida, ironica, impassibile: quindi perturbante - di come i media e le finzioni scavino nel profondo della nostra psiche e la modifichino. C'è una doppia morale nel film. In prima battuta è una morale ovvia; quando Andy comunica a parenti e amici di avere il cancro, e nessuno gli crede, con tutti gli scherzi che ha combinato in vita sua; ma diventa assai più subdola quando il funerale di Andy si tramuta in un suo show (tramite filmato, con karaoke incorporato). E la morte che si fa spettacolo, o è lo spettacolo che è sempre e comunque mortuario? La risposta non c'è, come vedrete nel finale (da non rivelare). E del resto Man on the Moon dovrebbe in realtà durare 2 minuti e finire con i titoli di testa (guai a voi se li perdete: vietato entrare in sala a spettacolo iniziato!). Ma, c'è, poi, una realtà? Se c'è, si nasconde nella sovrumana bravura di Jim Carrey, che per questo film meriterebbe il Nobel e invece non è nemmeno candidato all'Oscar: forse per gli zombie dell'Academy tutto ciò suona sinistramente autobiografico. Da vedere assolutamente, alla faccia loro.

da Il Manifesto (Mariuccia Ciotta)

     La faccia di Jim Carrey che spunta dal bordo dello schermo, saluta il pubblico e lo ringrazia con quella vocetta stridula, fa l'effetto di un'apparizione dall'aldilà - dal luogo dove abitano i divi e i morti - per dare ancora un brivido agli essere umani. Andy Kaufman può vivere finalmente la sua personalità multipla, e dire le cose non dette nei suoi brevi 35 anni di vita. L'anti-comico, il situazionista, "il guerrigliero Zen" torna nel film di Milos Forman, Man on the moon, per scuotere una platea anestetizzata dalla simil comicità e spingerla verso l'enigma della vita. Andy Kaufman, morto di cancro giovanissimo, era un John Belushi ancor più demenziale, parola coniata per il Blues Brother, e che significa gioco di assurdità e di nonsense, come massima sintesi dell'arte. Haiku e mai barzellette. Esempio. Jim Carrey nelle vesti di Andy Kaufman, infastidito da un pubblico predisposto alla risata facile, legge dalla prima parola all'ultima Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald. Il teatro si svuota rapidamente, c'è chi resiste tra gli sbadigli. Tutti si aspettavano la performance di Andy nel ruolo del meccanico Latka Gravas, un terrificante orrendo omone aggressivo e sputasentenze, interpretato nella sit-com Taxi. Ma lui provoca, e resiste davanti alla platea vuota. Un solo spettatore stremato alla fine applaude. Andy impettito, con gli occhi fissi e rotanti, cala il sipario di velluto rosso, estasiato.
In tv era diventato famoso anche per Saturday night life, nella band di Belushi, ma il suo comportamento imprevedibile aveva fatto impazzire tutti, compreso il suo manager, interpretato da Danny De Vito (l'attore aveva lavorato con Andy in Taxi). Diventerà il più adorato e detestato degli anti-comici. Destino che condivide con Jimmy Carrey. Infatti, il perturbante attore è diventato il "caso" dell'Oscar '99 e 2000. Escluso l'anno scorso a sorpresa dalle candidature (era lo stralunato eroe di
Truman Show), anche ora, dopo il Golden Globe, è scomparso dalle nomination per il "miglior attore". L'Oscar virtualmente è suo, ma lo vincerà Kevin Spacey, bravissimo in American Beauty. Carrey però è stupefacente, eppure l'Academy lo detesta. Perché, come Andy Kaufman, lascia il pubblico stizzito a chiedersi "non so bene cosa fa ridere e cosa non fa ridere", cosa è umano e cosa non lo è. "Penso che meritasse la candidatura... - dice Forman - Non ho mai visto un attore che si dedica anima e corpo al lavoro in quel modo... E' così bravo che non vedi Jim Carrey che recita, ma vedi Andy Kaufman".
Andy, che se ne andava in punta di piedi, cattivissimo e vulnerabile, e non faceva mai "spettacolo", si rifiutava di rispettare le leggi del successo e del business. E veniva cacciato, quasi sempre. Il suo sogno era recitare al Carnegie Hall, e mettere su i suoi dischi preferiti in un piccolo giradischi collocato su un tavolino, per poi cantare in un play-back esilarante. I Rem gli renderanno omaggio nel 1992 con una canzone bellissima Man on the moon, l'uomo sulla luna. L'uomo che era sempre fuori di sé, impenetrabile come un robot, estremo travestimento, ruolo interpretato nel film di Alan Arkush, Hearthbeeps. Andy, accanto a Bernadette Peters, ragazza meccanica e metallica, si muoveva a passo uno, impacciato di fronte all'amore. Proprio come Jim Carrey di fronte al corpo snodabile da pugilessa di Courtney Love, che fa la parte della ragazza di Andy, anzi della complice quando lui si finge campione di wrestling e sfida le donne, chiamandole sul ring, urlando buffe offese all'altro sesso. Milos Forman, che prima di vincere l'Oscar per
Qualcuno volò sul nido del cuculo, aveva girato in Cecolosvacchia l'adorabile Gli amori di una bionda, scopre un tocco ancora nuovo - dopo il memorabile Larry Flint - e batte tutti i nuovi talenti da "notte delle stelle" con questo omaggio a Andy e a Jim, viaggiatori senza meta "persi in questo secolo". Destabilizzante come i Sex Pistols, meteora che pochi vedranno nel cielo degli anni Settanta, Kaufman si frantumava ogni volta in qualcuno di diverso. Era un travolgente Elvis Presley, che Carrey rifà vestito di bianco e di borchie d'argento, spalle al pubblico... "un uomo che canta e che danza" come amava definirsi. Era anche il folksinger Tony Clifton, il bambino capriccioso, il macho, il rockettaro, il pazzo. E il malato di cancro. Quando lo disse agli amici, tutti risero. Che trovata il funerale con lo schermo gigante, e la performance del suo doppio fantasma a ogni anniversario... Andy è tutti ed è dovunque. E' Jim, l'unico che lo ha fatto davvero resuscitare.

TORRESINO aprile 2000