La mela libertaria dell'Eden americano

   La rete televisiva svizzera ha da poco trasmesso un ciclo di film di Frank Capra ("L'America delle grandi speranze") ed é capitato di rivedere, sempre piacevolmente, il roosveltiano Mr. Smith va a Washington. Nell'indimenticabile pellegrinaggio di Smith-Stewart ai monumenti della capitale, ad un certo punto, adiacente (nel contesto filmico) alla statua del presidente Lincoln, c'è la visione di una grande campana battente, con incisa a caratteri molto chiari la parola "liberty"... Si può ben dire che il termine chiave della cultura americana sia proprio la "libertà": un passato remoto relativamente recente ed una tradizione culturale ancora in gestazione fanno della guerra d'indipendenza un ricordo tuttora pregnante, la "pianta" politica ha da sempre nel liberalismo radici e concime, pure l'abbraccio turistico della baia di New York é tutto giocato sulla grande statua di "donna con fiaccola"...
La libertà é il valore, anzi il bene più grande della cultura moderna (non solo yankee), in considerazione spesso superiore a quello della vita stessa: basta citare gli eroismi, bellici e civili (il morire per la libertà comune), le prevaricazioni legislative e morali (su tutte la pena di morte) ed l'estremizzato libertarismo laico che, camaleontico e contagioso, ramazza indisturbato l'aia delle coscienze, dall'individualismo capitalistico al "tutto subito" dell'autonomia. Per andare veramente a fondo nel discorso "libertà" occorre però vivisezionarla con metodo; spulciando potremmo portare così alla luce tre gradi, dialetticamente fecondi: una libertà teologica, una libertà naturalista ed una libertà sociale.
La prima é senza dubbio la più misteriosa, non verificabile ma fondamentale: ora in considerato rispetto, ora in superficiale disagio, sublimata religiosamente o bistrattata dal rifiuto razionalista, resta la sete e l'acqua del nostro vivere, l'oggetto e il soggetto di ogni secolo. Il rapporto critico di dipendenza-libertà da un essere superiore, da una realtà e da un progetto divini é un patema filosofico crucialmente post-medievale, ma il tarlo, o invero, la linfa teologica è costitutiva di tutto l'uomo storico nel suo contrasto esistenziale tra fede e ragione, tra cristianesimo e ateismo, tra autogestione ed autosufficienza.
La seconda libertą é quella pił istintivamente percettibile come precaria se non anzi scientificamente assurda: l'indissolubile legame con la natura, con la nostra non-autonomia logistica, alimentare, atmosferica ecc. va a sommarsi alla catena biologico-genetica che unisce il passato ed il futuro dell'umanità, ripropone il "dubbio creativo" e ci proietta con una luce diversa nella dimensione della libertà sociale.
Questa diventa "la libertà", il concetto primo del termine, quello che ci sciorinano i libri di storia, quello che costituisce il maxi-progetto politico mondiale, pluri-sfaccettato e pluri-interpretato, sempre fiducioso, talvolta insicuro, spesso pericolosamente cieco (... verso l'incubo di un nuovo stadio di libertà, quello tecnologico, teso a conglobare, snaturare e sopprimere i precedenti, in un'incredibile leggerezza generale).
Ed il modello americano ritorna di utilità proprio perché la sua tradizione culturale e sociale tutta moderna rivela più apertamente questa "trinità" della libertà. La genesi stessa della storia americana vede la caratterizzazione dei tre momenti: l'arrivo leggendario della Mayflower (coi suoi padri pellegrini) è ricerca di libertà sociale, suffragata da uno stimolo morale trascendente, e tutto l'insediamento civile in un paese vergine é "rivelazione" emblematica della condizione umana di fronte alla natura e a ciò che in essa (sopra di essa) si cela. «Signore aiutaci a trovare una nuova patria» fu il primo motto dei pionieri nella terra al di là dell'oceano, terra ospitale ma aspra, in cui procedere "possessori e posseduti", conquistando, difendendosi e "comunicando" solo con la Bibbia e il fucile. In questa gestazione tutta particolare, curioso ibrido di preistoria (la condizione ambientale) e di progresso civile (il bagaglio socio-religioso), di umiltà (la situazione di esuli) e di arroganza (il genocidio degli indiani), l'America resta il "mannequin" ideale per le mode culturali del mondo contemporaneo, mentre verso se stessa assume l'immagine e il ruolo dello specchio magico in
Biancaneve e i sette nani: tra i fumi dell'autocontemplazione spunta la coscienza che in realtà la perfezione stia altrove, in una "regina" più giovane e più pura...
É la nostalgia degli USA per il proprio passato mentre, di generazione in generazione, vanno a ricercare se stessi in due processi opposti d'identificazione, con un make-up "pulente" o "coprente", riscoprendo la tradizione delle origini o sotterrando le scorie di un "old time" scomodo, sempre per configurarsi più autonomi, totalmente " liberi".
La matrice libertaria in tale contraddittorietà ha accompagnato il new deal, la nuova frontiera kennediana, e pure il movimento giovanile a cavallo degli anni 60, tra le proposte costruttive dei campus, gli asfalti magnetizzati ad ovest, gli aghi caldi in vena e l'utopia degli accordi su vinile: nel 69, sul palco di Woodstock, Richie Havens sembrò fondere le corde della sua chitarra al ritmo incalzante di Freedom, ma già Bob Dylan nel 64 aveva cantato le sue struggenti "beatitudini" tra i lampi delle "campane della libertà". E proprio in un autore come Dylan, nel suo iter artistico ed umano, troviamo tre momenti chiave che ribadiscono quanto detto: il primo periodo, sociale, «a ruota libera nel cambiamento» (TheFreeweelin' Bob Dylan - 1963 / The Times They Are A-Changin'- 1964), quindi la parentesi "naturistica" nell'incontro con l'ambiente (John Wesley Harding - 1968) e con l'amore della propria donna (Planet Waves - 1974), per arrivare all'attuale svolta mistico-religiosa di Slow Train Coming (1979) e Saved (1980).
Ma se il "saggio Bob" ha esaurito questa escalation di "conversione" nella libertà, non si può certo dire che lo stesso sia accaduto per la cultura di massa americana e per il suo veicolo privilegiato, il cinema. In un film come quello
di Frank Capra (eravamo nel 39) sono facilmente rintracciabili i tre livelli: lo sfondo sociale del soggetto, la preghiera d'intonazione biblica in apertura dei lavori del senato, il progetto ecologico del parco per ragazzi presentato dal protagonista. Ma col passar degli anni il substrato ideologico dell'immaginario filmico si é sempre più cristallizzato nel solo aspetto sociale della libertà, logico riflesso d'altronde della filosofia commerciale imperante nel mondo della celluloide. Cosi gli spunti "teologici" sono stati relegati nel limbo del genere fantascientifico, dal monolito esistenziale di Stanley Kubrick (2001: Odissea nello spazio - 1968) al misticismo messianico di lncontri ravvicinati del terzo tipo (1978), e le luci "ecologiche" dell'afflato naturista si sono spente col progressivo indebolirsi del filone western, solo vagamente memore degli affreschi fordiani, più vicino alla truculenta epica de Il mucchio selvaggio (69) che alla distaccata foto-analisi comportamentale di Fango, sudore e polvere da sparo (74), e sempre meno intimamente partecipe alla riflessione etnica e morale del Pollack di Corvo rosso non avrai il mio scalpo (72).
A questo punto se si ricerca un film che faccia da ambiguo esemplare dell'attuale ottica libertaria americana (e non) come si può non ricadere su
Qualcuno volò sul nido del cuculo, del 1975, per la regia di Milos Forman? La vicenda di McMurphy-Jack Nicholson, che pur di sfuggire al legalismo civile si fa rinchiudere in un manicomio fingendosi insano di mente, é facilmente leggibile come metafora socio-esistenziale: l'ospedale psichiatrico diventa un microcosmo modello di una società "imbiancata", conformista in cui la "grande infermiera" (la grande "madre", l'America) esibisce il suo raziocinio alienante per tarpare le ali allo spontaneismo ed all'iniziativa antagonista. Ma il sobillatore McMurphy é sempre un " rebel without a cause": sprizza inventiva ed autodeterminazione da tutti i pori, ma non riesce a costruire molto di più di un'immaginaria partita televisiva di dilagante entusiasmo ed inarrestabile fantasia (ancora gli aneliti di Marcuse). Persino il recupero del grande valore dell'amicizia decade nel macchiettismo confezionato dell'allegra brigata manicomiale, cerca pateticità nella "prodiga" educazione di carattere sessuale al ragazzo timido e si risolve essenzialmente in un'elitaria intesa di solipsismi (tra McMurphy e il pellerossa): non c'è spazio per un incontro autentico tra gli individui, con la realtà, l'ambiente (l'unico "break" al grigiore quotidiano - la gita in barca - china il capo agli stereotipi della jet-society e delle cartoline illustrate), vano è lo sforzo di un'interiorizzazione feconda (anche se l'asetticità e la coercizione del luogo avrebbero potuto stimolarla). Chi regna, principe, è l'individualismo di "colui che sa" in un mondo che "non vuol sapere" (il rifiuto di responsabilizzazione degli internati volontari), é l'epopea di un'entità sociale insoddisfatta che si pasce degli istrionismi di un inconsulto ribelle, ansioso di libertà in quanto tale, anarchica ed a-progettuale. E se il suo sacrificio, il suo venir immolato sull'altare della scienza al servizio del potere (una lobotomia che vale quanto il lavaggio al cervello del pessimismo orwelliano di Nel 2000 non sorge il sole - Michael Anderson, 1956) serve di eredità morale all'amico indiano (emarginato "totale" nel suo "phisique de ròle" e nella sua tradizione di pellerossa), cosa resta al di là dell'epico infrangersi degli spazi perimetrali? Dove fugge il gigantesco Will Sampson, capo Giuseppe del XX secolo? Non sa che anche le strade del "tramp" spensiarato sono sature di droga e violenza (Easy Rider - Dennis Hopper 1969)? Spera davvero di aggrapparsi eternamente al ceppo mitico-nostalgico del western eroico (Sfida a White Buffalo - J. Lee Thompson, 1977)?
Forse bisognerebbe ripescare il
Nick mano fredda del miglior Rosenberg (1967). Lì un Paul Newman solitario e volitivo, con uno spessore psicologico di profonda umanità, ripeteva fino alla nausea i riti della fuga senza scampo e quando, braccato in una chiesa, aveva il coraggio di instaurare alfine il "colloquio supremo", la pallottola che lo stroncava bruciava di amarezza più che di crudeltà: il suo sorriso, "intimamente liberato", ridicolizzava non solo la ferocia repressiva del killer dagli occhiali a specchio, ma pure gli sforzi vani di una ricerca di libertà strutturalmente "socio-politica", ma essenzialmente anarchica e individualista. Ostinata e solitaria,anche nello spirito.

ezio leoni - CM 41 - primo trimestre 1981