SIDNEY LUMET - solitarie battaglie di legalità e giustizia |
Uno
sguardo sofferto e impietoso su una società in decadenza morale,
un'accorata dichiarazione di fiducia nell'integrità del singolo. Le due
anime del liberal Sidney Lumet
ezio leoni - TORRESINO/LUX ottobre-dicembre 2011 |
La parola ai giurati
(Twelve Angry Men) |
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BERLINO: Orso d'oro |
Undici dei dodici giurati, certi della colpevolezza, sono pronti a liquidare rapidamente il verdetto per il giovane mulatto accusato di omicidio: uno solo (Henry Fonda) dubita e con tenacia riesce a smantellare la superficialità e i pregiudizi dei suoi colleghi. Eccezionale prova d’esordio di Lumet che, partendo da un originale televisivo di Reginald Rose (qui anche sceneggiatore), denuncia il razzismo strisciante nella soddisfatta middle class e le insidie del sistema giudiziario. Grande la prova di recitazione dei dodici attori, tutti protagonisti di convincenti ritratti psicologici, ma soprattutto straordinaria la tensione dell’impianto narrativo la cui unità di luogo e di tempo, lungi dall’impoverire la vicenda, esalta la dimensione inquieta e claustrofobica. |
Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti
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A prova di errore
(Fail Safe) |
Quando il comando strategico aereo nordamericano viene messo in allarme per l'avvistamento di un oggetto volante non identificato diretto verso gli Stati Uniti, i bombardieri atomici si alzano in volo. Una volta cessato l'allarme i velivoli fanno rientro alla base. Ma un giorno capita che uno stormo, a causa di un guasto alle apparecchiature elettroniche, prosegue il volo in direzione di Mosca. Tra frenetici scambi di ordini avviene l'irreparabile, per il presidente americano (Henry Fonda) non esistono alternative… |
Il copione è tratto da un romanzo di Eugene Burdick e Harvey Whee. È davvero ammirevole il profondo senso democratico con cui gli intellettuali americani affrontano problemi di vita e di morte connessi alle storture della loro civiltà. Qui è sotto accusa la fede cieca nello strumento meccanico, nelle macchine pensanti […] Basta uno stupido errore di una macchina “stupida” e due metropoli, Mosca e New York, sono rase al suolo. C’è da farsi venire i brividi soprattutto perché il regista Sidney Lumet ha raccontato questo allucinante apologo puntando sulla ricerca del verosimile. A parte qualche notazione psicologistica sui vari personaggi che può risultare stonata, il film è girato come una registrazione di eventi: si rimane con il fiato sospeso per due ore… |
Tullio Kezich - Il Film Sessanta |
L'uomo del banco dei pegni
(The Pawnbroker) |
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BERLINO: Orso d'argento a Rod Steiger |
Nel quartiere di Harlem a New York, Sol Nazerman (Rod Steiger), usuraio ebreo per conto di uno sfruttatore di prostitute, riversa su tutti l’odio accumulato quando era prigioniero in un lager nazista. Ma il sacrificio del suo aiutante, che muore per difenderlo durante una rapina, lo obbliga a ripensare alle proprie scelte di vita… Tratto da un romanzo di Edward Lewis Wailant sceneggiato da David Friedkin e Morton Fine, è un melodramma a sfondo razziale che scatenò accese polemiche quando uscì sugli schermi: con una serie di nervosi flashback alternati a riprese di Harlem filmate facendo largo uso della macchina a mano, il film, segnato da un'intensa ricerca psicologica, prova a districarsi nel groviglio di tematiche sull’ebraismo che mette in campo (l’emarginazione, la colpa e la redenzione, l’ambiguo rapporto tra carnefice e vittima) […] In una messinscena molto effettistica e moralmente ambigua, Steiger fa ricorso a tutto il suo repertorio di attore teatrale e non si risparmia nessuna gigioneria. Memorabili la fotografia in bianconero del grande Boris Kaufman, il montaggio di Ralph Rosenblum e la musica di Quincy Jones. |
Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti |
Serpico |
Nel clima sfiduciato dello scandalo Watergate e dopo la caduta del vicepresidente Spiro Agnew sorpreso con le mani nel sacco, non c’è stupirsi che il pubblico americano accorra a vedere Serpico, racconto-documento sulla corruzione dei poliziotti di New York City tratto libro di Peter Maas. La morale del film è che a Manhattan e dintorni tutto funziona a bustarelle, e peggio per non ci sta: «Chi si fida di un poliziotto che rifiuta le buste?» si chiede un personaggio. Quello che respinge i bigliettoni è l’oriundo italiano Frank Serpico, figlio di un calzolaio: un tipo strano che da una parte ha sempre sognato di far carriera nella polizia, dall’altra coltiva un debole per i capelli lunghi, gli abbigliamenti eccentrici e la vita da hippie. […] La vicenda lascia intravedere un contesto mafioso pressoché inattaccabile, fondato su complicità a livelli altissimi: a che cosa potrà portare la denuncia del povero Serpico più che all’incriminazione di qualche pesce piccolo?… |
Tullio Kezich - Il MilleFilm
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Al Pacino sfiorò l'Oscar con i 2 sceneggiatori, ma il film vale anche per la regia di Lumet con la suggestiva ambientazione di una New York vista dal basso. |
Assassinio sull'Orient Express
(Murder on the Orient-Express) |
Nel 1934 il celebre treno, in viaggio da Istanbul a Calais, è bloccato dalla neve. Viene commesso un omicidio. Il detective Hercule Poirot (Albert Finney) risolve il caso. Giallo deduttivo-geometrico di Agatha Christie, un enigma tra un cast di tutte star (Lauren Bacall, Martin Balsam, Ingrid Bergman, Jacqueline Bisset, Jean-Pierre Cassel, Sean Connery, John Gielgud, Anthony Perkins, Vanessa Redgrave, Richard Widmark, Michael York, Colin Blakely) messo in scena con elegante ironia e raffinata bravura. |
Il Morandini -
Dizionario dei Film |
le carrozze del treno sono quelle autentiche dell'Orient-Express |
Quel pomeriggio di un giorno da cani
(Dog Day Afternoon) |
Il 22 agosto 1972, tentando una rapina due reduci dal Vietnam, Sonny e Sal (Al Pacino e John Cazale) restano intrappolati all’interno di una banca con alcuni ostaggi: le forze dell’ordine non riescono a convincere i due ad arrendersi, spalleggiati anzi dalla folla che organizza spontanee manifestazioni di solidarietà, fino a quando l’arrivo di un cinico agente dell’FBI non risolverà la situazione. Accuratissima ricostruzione di un fatto di cronaca realmente accaduto (sceneggiato da Frank Pierson a partire da un articolo di Kluge e Idoore) il film oltrepassa gli schemi del cinema di denuncia per trasformarsi in «una riflessione sui rapporti tra mass media e pubblico, sul potere della televisione di “creare” degli eroi dal nulla e di trasformare ogni avvenimento in spettacolo». L’ottima prova di Cazale è messa in ombra da quella di Pacino (un omosessuale che ha organizzato la rapina per pagare l’operazione di cambio di sesso al proprio amante), malinconico incrocio di incoscienza e anarchismo, amoralità e ingenuità (la sua telefonata all’amico travestito è memorabile), perfetto nella sua recitazione ipertesa e altrettanto perfettamente seguito dalla macchina da presa del regista che fa dimenticare la monotonia dell’ambientazione (quasi tutto il film si svolge all’interno della banca). |
Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti
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Quinto potere
(Network) |
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miglior attore (PETER FINCH, attribuito postumo) miglior attrice protagonista (FAYE DUNAWAY) miglior attrice non protagonista (BEATRICE STRAIGHT) miglior sceneggiatura.sceneggiatura (PADDY CHAYEFSKY) |
Licenziato dall’Ubs per il crollo dell’audience, il commentatore televisivo Howard Beale (Peter Finch) dichiara davanti alle telecamere di volersi suicidare: il suo indice d’ascolto sale e viene riassunto, ma quando l’indice scende di nuovo alla rete non resta che organizzare la sua morte in diretta… Appassionato ma rozzo pamphlet contro la televisione sceneggiato da Paddy Chayefsky, che vi ha riversato il suo stile teatrale enfatico e pesantemente didattico, ma che Lumet riesce a riscattare con una regia spesso inventiva (come nella scena in cui gli executive preparano freddamente l’assassinio di Howard) e con un’ottima prova collettiva degli attori, tra cui emergono Robert Duvall (il direttore delle news), Faye Dunaway (una produttrice disposta a tutto per la carriera) e Ned Beattv (il telepredicatore): ne risulta un film appassionato e rude, impietoso e a tratti sensazionalistico come la sua xxxxx che condanna. |
Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti
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Il principe della città
(Prince of the City) |
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VENEZIA: premio Pasinetti |
Un investigatore della sezione narcotici di New York, Daniel Ciello (Treat Williams, straordinario) paga caro la decisione di collaborare a un’inchiesta sulla corruzione della polizia, trovandosi costretto a denunciare colleghi e amici. Ispirato alla storia vera dell’agente Bob Leuci (raccontata in un libro da Robert Daley e adattata da Jay Presson Allen e da Lumet che qui firma la tua prima sceneggiatura ufficiale), il film procede per «accumulazione di sequenze individualmente molto forti ma spesso ripetitive, la cui intensità emozionale a volte tocca i limiti dell’intollerabilità». Ne esce un quadro desolato del mondo della polizia (a cui aggiunge fascino la fotografia volutamente sporca di Andrzej Bartkcowiak), dominato dalla sfiducia e dalla vendetta, dentro il quale il protagonista finisce per farsi prendere da una vera crisi di identità. |
Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti |
È uno dei migliori film USA del 1981. Oltre a essere un'inchiesta e una denuncia sulla corruzione nella polizia, è anche un esempio di superbo artigianato cinematografico, ricco di risonanze etiche e politiche. È il solo film in cui l'onesto Lumet sfodera un'energia alla Scorsese. |
Il Morandini - Dizionario dei Film
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Il verdetto
(The Verdict) |
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VENEZIA: premio Pasinetti |
Frank Galvin (Paul Newman), ex avvocato di successo ora alcolizzato, si ritrova tra le mani una causa sporca e importante, in cui è coinvolto un famoso ospedale, ma dovrà lottare anche contro i colpi bassi del celeberrimo avvocato (James Mason) che difende l’istituto. Sceneggiato da David Mamet dall’omonimo romanzo di Barrv Reed, è un ottimo dramma giudiziario all’insegna del disincanto, centrato sulla figura crepuscolare dell’avvocato anziché sui consueti meccanismi processuali. Il ritmo è volutamente rallentato, e la fotografia gioca su tonalità spente e sommesse. Lumet dirige con professionismo consumato senza sbagliare nulla. Se Charlotte Rampling possiede tutta la magnetica ambiguità necessaria al suo ruolo, resta memorabile l’arringa finale, sostenuta da un Newman decisamente ispirato. |
Dizionario dei film – a cura di Paolo Mereghetti |
Daniel |
Vivere in fuga
(Running on Empty) |
Non commettete l'errore di abbinare nei vostri ricordi cinefili, il nome di Sidney Lumet con l'ultimo film Sono affari di famiglia (commedia con molti divi e poca verve): il suo taglio registico e di ben altro calibro. L'uomo del banco dei pegni,Serpico, Il principe della città, Daniel... basta uno di questi titoli per focalizzare il suo cinema, un cinema d'impegno sociale, tagliato addosso ai personaggi come un cappotto di lana ruvida. Più che mai fuori dal consueto il tema di questo Running on Empty: una famiglia "alla macchia"; Arthur e Annie (i genitori) sono infatti degli ex-terroristi che, per sfuggire alla strenua caccia dell'FBI, devono continuamente "vivere in fuga" trasportando nel loro peregrinare i giovani figli. Ideali ed esigenze personali si scontrano drammaticamente, le ottiche generazionali diventano concrete verifiche del senso della famiglia e della vita ("correndo sul vuoto" nel titolo originale). Lumet lascia spazio alla riflessione ma non abbassa mai la guardia del ritmo cinematografico. |
Ezio Leoni - cinema LUX aprile/maggio 1990 |
Terzo grado
(Q & A) |
Giovane aiuto procuratore distrettuale (Timothy Hutton) ed ex poliziotto di origine irlandese devono condurre un'inchiesta giudiziaria sull'uccisione di uno spacciatore portoricano da parte di un tenente della polizia di New York (Nick Nolte). Sembra un caso di routine, ma a poco a poco il marcio affiora toccando gradini sempre più alti. Il film sprofonda via via nella sua limacciosa ridondanza narrativa (la vicenda prevarica sui personaggi), ma il crudo realismo del materiale narrativo (tratto da un libro del giudice Edwin Torres) e la verve civile del cinema di Lumet sono ancora una volta memorabili. |
Il Morandini - Dizionario dei Film |
Prove apparenti
(Night Falls on
Manhattan) |
Figlio di poliziotto ed ex poliziotto, Sean Casey (Andy Garcia) diventa avvocato e, aggregato alla Procura distrettuale di New York (un nostro PM, insomma), vince il primo, importante processo affidatogli, ma ne scopre poi i retroscena di corruzione poliziesca che sfiorano persino il suo integerrimo padre (Ian Holm). 40° film di Lumet, 35° distribuito in Italia, 29° ambientato a New York e uno dei tanti sui temi a lui cari: legge, giustizia, corruzione, droga, rapporti tra etica e politica. Intellettuale ebreo e irriducibile liberal, regista di un cinema di storie forti, Lumet ha perduto l'ottimismo che caratterizzava i suoi film sino a Serpico, ma rimane convinto che l'amministrazione della giustizia sia l'ultimo baluardo di difesa del sistema e del sogno americano. |
Il Morandini - Dizionario dei Film |
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cinema
invisibile
TORRESINO/LUX
ottobre-dicembre 2011