Grand Budapest Hotel
(The Grand Budapest
Hotel) |
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DAVID DONATELLO miglior film straniero |
Un paese che non esiste, una specie di Mitteleuropa a fumetti sognata dal regista dei Tenenbaum nel suo stile sgargiante e inconfondibile. Un racconto a scatole cinesi che inizia ai giorni nostri e torna fino agli anni 30, perché anche se il tono è¨ lieve, i colori accesi, le star innumerevoli, questa favola piena di humour e di azione parla di memoria, di trasmissione del sapere, insomma di eredità . Un film dal tono volutamente infantile, ma chiazzato di sesso e di morte, come se solo così il texano Wes Anderson potesse appropriarsi dei lati più oscuri di un'epoca che come i tre quarti del pubblico di oggi conosce solo grazie a libri, film, foto, disegni. Se la Berlinale cercava un lavoro divertente e pensoso, frivolo e malinconico, in bilico fra due epoche e due mondi, The Grand Budapest Hotel era il titolo ideale per aprire un festival che come il mondo oggi guarda a Oriente, ma non può dimenticare la propria storia. E poi questa favola di Anderson, girata tra gli studios berlinesi di Babelsberg e le architetture gotiche di Gorlitz, è un trionfo di invenzioni e divertimento che sospende ogni cosa, a partire dall'immaginaria repubblica di Zubrowska, nel regno della fantasia. Ma senza mai dimenticare la realtà: dopo i fasti della Belle Epoque quell'immenso albergo termale sospeso tra i picchi dei Sudeti ha conosciuto le offese della guerra, le ingiurie del nazismo, il grigiore del socialismo reale. Ma ha anche visto le avventure del tenero Gustave (Ralph Fiennes), maétre d'hotel sempre impeccabile e molto disponibile con le clienti più attempate, dunque nominato erede universale da una contessa devota e decrepita (un'irriconoscibile Tilda Swinton). (...) In un crescendo di avventure, stramberie, invenzioni visive, che incanterà chi ama il regista di Moonrise Kingdom e Fantastic Mr. Fox. Ed ecco, fra inseguimenti di ogni sorta (auto, treni, moto, sci, slitte, funivie), confraternite internazionali di maétre d'hotel, complotti e delitti sempre compiuti con massima eleganza e velocità , affacciarsi un plotone di divi, in ruoli anche piccolissimi ma tutti da assaporare, come i pasticcini confezionati dalla candida Saoirse Ronan, così belli e inviolabili che servono a introdurre in carcere ferri da evasione. Mentre tutto intorno, truccati e avvolti nei costumi inarrivabili di Milena Canonero, sfilano per il nostro divertimento Willem Dafoe protonazi con ghigno da uomo lupo, Jeff Goldblum avvocato azzimato, Adrien Brody avido erede, Edward Norton sbirro sensibile, Harvey Ketitel galeotto pelato e tatuato. Tutti sospesi allo sguardo innocente di un debuttante assoluto, il giovanissimo lobby boy Tony Revolori, che da vecchio diventerà F. Murray Abraham. Una festa. |
Fabio Ferzetti - Il Messaggero |
A
vedere Grand
Budapest Hotel, lasciandosi
incantare dalle sue assurdità , viene voglia di pensare che un
autore dalla cifra personale e inimitabile è¨ quello che se avesse
sottoposto a chiunque un progetto come questo, quando ancora non era
famoso, sarebbe stato trattato come un eccentrico svitato, accompagnato
alla porta e invitato a cambiare strada. Nella peggiore delle ipotesi,
sbattuto fuori a calci assieme alla sua strampalata sceneggiatura
con l'intimazione di non farsi vedere mai più. Siamo davanti al miracolo
della creazione di una cosa che prima non c'era, prodotta dalla fantasia
eccezionale di un artista. (...) Nessuno degli aggettivi che salgono
spontanei nel vedere il film è inappropriato: delizioso, squisito.
Garbo e grazia sono di casa. Profilo non nuovo per l'autore di Moonrise
Kingdom e Fantastic Mr. Fox.
Tuttavia qui la consistenza di monumento all'inconsistenza, al superfluo,
surclassa caratteristiche già largamente espresse nei precedenti
Il treno per Darjeeling
e Le
avventure acquatiche di Steve Zissou.
Mentre, senza perdere in leggerezza, ci si riavvicina alla solidità
del primo exploit, I
Tenenbaum. I luoghi, i tempi, i modi. La storia violenta
del Novecento europeo, filtrata da una sensibilità , da una modalità ,
da una vaghezza un po' da operetta un po' da feuilleton. Nel gusto,
nello stile che Anderson riversa in quest'opera è difficile sfuggire
alla tentazione di riconoscere un devoto tributo - non banale citazionismo
- al più grande degli inconsistenti, il Lubitsch di
To Be or Not
to Be (Vogliamo vivere). Non senza soffermarci sulla
ricchezza e sulla cura di questo lussureggiante giocattolo - oggetti,
colori, scenografie da favola di cui sarebbe interessante poter discernere
tra artificio e location reali, tra modellini e aiuto tecnologico
- un capitolo a sé la passerella dei personaggi/interpreti. (...)
Ciascuno con ben incisi i caratteri del Grande Romanzo. E ciascuno
portatore dell'invisibile ma percettibile sorriso - anche i perfidi
- di chi sente il privilegio di partecipare a una festa. Resta il
mistero del perché un autore che del tenue e dell'esile ha fatto la
sua cifra, emisfero opposto rispetto a Tarantino |
Paolo D'Agostini - La Repubblica |
All'ottavo round, il 45enne Wes Anderson, uno dei pochi registi impossibili da imprigionare in un aggettivo, firma il suo film più personale e fiabesco, colto e snob, raffinato e ironico verso i generi stessi del cinema, dalla commedia sofisticata di Lubitsch e soci (Wyler, Mamoulian, Bornage, Wilder...) nell'ovattato clima di un grand hotel d'operetta fino alla spy story. Commedia mitteleuropea, ambientata nello stupore Art Nouveau anni 30, flash-back biografico del padrone di un hotel glorioso ora decaduto in quel crocevia di mondo al confine di Germania, Austria e Polonia, tra le due guerre mondiali, luogo immaginario chiamato Zubrowka, in realtà la cittadina di Gorlitn con interni a Potsdam. (...) In un incrocio ideale non solo di storia e geografia ma anche di cultura, colore e grafica, con mutazioni di formato dello schermo, ironia e senso favolistico ma sempre con la finzione super star, Anderson brucia a fiamma altissima la sua idea di cinema fulcro di periodi e sentimenti, sogni e incubi. Come in un giro dell'oca solo per adepti, Anderson iscrive nella sua famiglia ideale (Tenenbaum allargati) molti attori feticci, una compagnia ricchissima di tic, talenti e personalità radical chic al comando di Murray Abraham, Ralph Fiennes, Jude Law che ci portano in giro nel Tempo del Bon Ton. Ma sono indispensabili anche Bill Murray, Edward Norton, Adrien Brody, Willem Dafoe, Jeff Goldblum, il picassiano Owen Wilson e Tilda Swinton, mentre Saoirse Ronan e Tony Revolori si assumono il peso delle rivelazioni, i minorenni in una fiaba di adulti che volentieri retrocedono allo psico gioco per bambini mai così sicuri che la vita è sogno. |
Maurizio Porro - Il Corriere della Sera |
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Sullo sfondo dell'omicidio di una nobile dama e del furto di un dipinto di inestimabile valore, si svolgono le (dis)avventure di Gustave H, perfetto concierge dell'hotel "Grand Budapest", un lussuoso albergo situato tra le Alpi dello Stato di Zubrowka, e dell'amicizia che lo lega a Zero Moustafa, il giovane fattorino che diventerà suo protetto e amico più fidato. Una commedia tra favola e operetta che viaggia a ritroso nel tempo, inventando cinema a ogni cambio di scena. Un gioco sfizioso e appassionante, scritto e diretto da un Wes Anderson in gran forma, che cuce il racconto nel suo stile originale e personalissimo, giocando con i modi del cinema, della letteratura e del fumetto, senza mai perdere ironia e leggerezza, con ritmo ed equilibrio miracolosi. E mescolando contaminazioni letterarie e citazioni cinematografiche da Vogliamo vivere! di Lubitsch a Grand Hotel di Goulding. Un giallo popolato da grandi attori che hanno accettato anche ruoli minuscoli, ma cruciali, con un gusto che contagia l'intera pellicola. Una festa per gli occhi e per lo spirito. |