Un’altra
coloratissima fantasia di Wes Anderson,
dopo
Le avventure acquatiche di Steve Zissou
e
Il treno per Darjeeling.
Qualunque cosa si pensi del suo cinema, e che di film in film incontri o
meno il gusto dello spettatore, non si può negare la sua continuità di
stile e soprattutto non si può negare che Wes Anderson possieda uno stile
inconfondibile. La storia d’amore tra dodicenni che è al centro di
Moonrise Kingdom
va a prendere posto, e un posto di tutto rispetto, tra i memorabili film
dedicati all’infanzia e all’adolescenza, ed è probabile che qui 1’autore
esprima un debito di gratitudine verso importanti nomi in particolare
francesi come quelli di Truffaut e di Malle.
Siamo nel 1965 e su un’isoletta dell’estremo lembo nordorientale della
costa degli Stati Uniti compie i suoi quotidiani e un po’ ridicoli riti un
campo scout estivo condotto, da un capo (Edward Norton) quanto mai rigido
e imbranato che ogni mattina esce dalla tenda con la sigaretta in bocca. I
ragazzi sono tutti coalizzati nell’ostilità verso l’occhialuto e
“difficile” Sam Shakusky (è orfano e la sua famiglia adottiva non esita a
scaricarlo di fronte all’ennesima dimostrazione della sua tempra ribelle)
che malgrado la sua evidente fragilità fisica si comporta fieramente e
fieramente porta la propria diversità. Dopo aver conosciuto la bambina
Suzy Bishop, la cui stravagante famiglia (papà Bili Murray, mamma Frances
McDormand) figura tra i pochi abitanti dell’isoletta assieme al mesto
poliziotto locale Bruce Willis, Sam, ricambiato, decide di aver incontrato
la donna della sua vita. E organizza meticolosamente una fuga dal campo
per congiungersi con l’amata e fuggire con lei. Ne segue un allarme
generale e una, per così dire, caccia all’uomo nella quale ogni energia è
concentrata, mentre sta per abbattersi sull’isola una tempesta. Tra gli
ulteriori intervenuti c’è il superiore del capo scout (Harvey Keitel) e
l’inflessibile inviata dei servizi sociali Tilda Swinton. Il piccolo
grande Sam fronteggia la situazione con fermezza, forte del suo
equipaggiamento e di un carattere indomito. Ma la lotta è impari e
malgrado le forze avversarie vengano messe a durissima prova esse
finiranno con l’avere la meglio e ritrovare i due fuggiaschi braccati.
Sarà il mesto poliziotto locale, di fronte all’implacabile resa dei conti
che l’addetta dei servizi sociali è intenzionata a imporre, a trovare la
soluzione che permetterà agli innamorati di vivere la loro felicità.
Più che un’avventura è una fiaba, evidentemente. E la forte dose
umoristica presente non è in contrasto con l’opera precedente dello stesso
autore sempre percorsa da una potente vena umoristica, ma forse presenta
una qualità leggermente nuova. Meno impassibile e “nera”, più affettuosa e
appassionata. E anche la carica di partecipazione della sua compagnia di
interpreti, neanche questa nuova ai suoi film, sembra farsi ancora più
forte. Nonostante quel che di rigidamente governato dalla regia, che non
permette ai personaggi di dirottare dalle volontà e dalle indicazioni del
regista e da ciò che egli si propone per creare il suo speciale mondo,
tira tra gli attori (e non è una novità, ma qui forse c’è ancor di più)
un'aria di condivisione e di adesione.
Si diceva all’inizio dello stile così personale e della continuità di
questo stile. Forse questa continuità non raggiunge sempre la stessa
felicità di risultato, ma se è così
Moonrise Kingdom
è
uno dei risultati migliori. |
Nel
segno della leggerezza adolescenziale, tra vintage anni '60 e nostalgia
per le disimpegnate avventure dei boyscout, si alza il sipario sulla
65esima edizione del Festival di Cannes con il film d'apertura
Moonrise
Kingdom.
Un'ouverture retro affidata alla fantasia rigogliosa di un regista
d'autore statunitense come Wes Anderson. Una fiaba in fuga dalla realtà e
dall'attualità con un cast ad alto tasso di star, quasi a voler
distanziare i tempi del Festival dal presente di una Francia e di
un'Europa che devono fare i conti con i mala tempora currunt del terzo
millennio. |