È
arrivato in Italia I
Tenenbaum,
Royal Tenenbaum non a caso nell'originale, il film del 32enne
regista rivelazione Wes Anderson
- cognome portafortuna, niente a che fare col vecchio Lindsay o col
Paul Thomas Anderson di
Magnolia
- gonfio di complimenti dei critici più severi, a partire dal New
York Times, che lo ha giudicato il miglior film dell'anno. Quello
dei regali Tenenbaum è il ritratto di una famiglia in cui non c'è
una sola pecora nera, ma lo sono tutti pecore nere, ciascuno pieno
di tic e chiuso nel proprio ego. E' un dramma eccentrico e sofisticato
con una voce fuori campo a far da narratore (in originale è Alec Baldwin,
da noi Sergio Di Stefano) e diviso in capitoli scritti a caratteri
gotici: il film si merita quattro stellette per personalità. IL CAST
- Il film, dai toni sarcastici, è popolato da personaggi che in passato
avrebbero ispirato a Hollywood una bella commedia sofisticata (infatti
il regista cita tra i numi ispiratori, Scorsese, la nouvelle vague
e i brillanti Kaufman e Hart). Ed è già un caso di cine-sociologia.
Perché l'autore ha saputo mettere insieme giovani stelle come la Paltrow,
Ben Stiller, il lanciatissimo «antieroe» Owen Wilson, cosceneggiatore
dal naso picassiano e voce nasale, oltre ai capifamiglia Gene Hackman
(vincitore del Golden Globe) e Anjelica Huston, fino a Danny Glover
e Bill Murray. Ma soprattutto perché si fa scudo dello snobismo «intellettual
camp», l'apoteosi del kitsch hollywoodiano - quasi una rivincita sui
muscoli di Stallone, Willis e Schwarzenegger - con raffinatezza visiva
estrema, un audace mix musicale (Satie, Debussy, ma anche i Beatles
e i Clash) e un solido cinismo narrativo. Parla di un mondo dove nessuno
è perfetto: al confine tra ironia e disperazione c'è l'orgoglio «upper
upper class» dei Tenenbaum, parenti degli Amberson di
Orson Welles ma anche dei vampireschi «Addams» (tutti da ridere),
un po' cartoon. LA STORIA - E' quella di una famiglia patriarcale
in cui manca da anni proprio il patriarca, impersonato da un formidabile
Gene Hackman che, spiantato, è andato a vivere in un hotel in cui
finisce per fare il lift (pare che in gioventù l'attore fosse portiere
in un ristorante di Times Square). Adesso ricompare e vuole rivedere
i suoi . Ci sono in mezzo tre figli (la ragazza è stata adottata)
tutti ex bambini prodigio - il campione di tennis, la scrittrice di
teatro, il finanziere - che non si ritrovano in una dimensione umana
da adulti: geniali ma infelici, pieni di soldi ma ossessionati dai
sensi di colpa. «Succede il contrario di quanto avviene con i personaggi
di
Hitchcock - spiega il regista - le mie sono persone straordinarie
che devono confrontarsi con la normalità». Wes Anderson assicura che
non c'è niente di autobiografico, solo qualche memoria della madre
che richiama il padre, finto malato terminale, dando così il via a
una catena di reazioni nei figli (fino ad arrivare a un mezzo incesto),
nei nipotini, negli amici drogati della porta accanto. Ognuno ha le
sue vicissitudini sentimentali: la madre si risposerà col suo amministratore;
il figlio finanziere, che si è sempre sentito truffato dal padre che
ora odia, rimane vedovo e accudisce patologicamente i suoi due bambini;
il fratello tennista abbandona lo sport, gira il mondo e si innamora
della sorellastra teatrante che a sua volta lascia il marito psicanalista.
E poi ci sono l'amico scrittore strafatto che fa guai ovunque, un
indiano compiacente, un cane. Le traiettorie affettive sono tutte
sbilenche tra quei geni «compresi» dei Tenenbaum: anche le emozioni
hanno un copyright di classe su cui ogni tanto si sorride, ma spesso
con una forte malinconia: convivere è difficile. UNA NEW YORK SOGNATA
- Si è molto parlato dall'11 settembre in poi, di New York e del suo
deturpato «sky line». Un texano che ama Manhattan: un ossimoro? Anderson
in questo film ha reinventato una New York deserta, onirica e letteraria
che va dal ' 20 al ' 50, girando dal vero ma restituendo l'impressione
di una città fantasma percorsa dai bus Greenline e da taxi zingareschi,
favola di una Manhattan letteraria ispirata a Scott Fitzgerald, Salinger
e alle annate più ricche del New Yorker. Chi ama i piani americani
di Hopper, chi va a vedere a Milano la mostra d el Whitney Museum,
chi ha visitato la Freak Collection e si sintonizza sulla Manhattan
di
Woody Allen, adorerà
questa storia disperatamente eccentrica, con epicentro in una cadente
villa di calcare di Harlem tra la 144.ma strada e Convent Avenue.
LOOK VINTAGE - Tutti i Tenenbaum sono vestiti tra la moda dei Cinquanta,
disegni originali e griffe d' oggi. La geniale commistione è il copyright
dei costumi di Karen Patch, che in realtà si chiama Guarnieri ed è
di origine italiana. Il cowboy scrittore porta giacche a frange come
il Buffalo Bill di
Altman, ma le
indossa sopra pantaloni di Gucci; Margot, che guarda all'infinito
e oltre, usa vestitini Lacoste, ha sempre con sé la borsa Kelly, porta
scarpe basse e cappotto-pelliccia di Fendi, quasi un omaggio al Peter
Sellers del «Mondo privato di Henry Orient»; il doppiopetto di Gene
Hackman, infine, sembra ispirarsi al Mike Jagger di «Gimme Shelter»
mentre Glover indossa camicie parigine di Charvet. IPERREALISMO -
E' un occhialuto nuovayork ese underground alla sua opera terza, che
odia i compromessi, ma scrittura un cast di star. Che cosa gli interessava
esprimere? "Le dinamiche interiori di un gruppo di famiglia
in interno nuovayorkese in stile iperealista Usa". E ci riesce
molto bene , rivolgendosi a un pubblico selezionato, capace di sorridere
sui drammi altrui (ma senza commuoversi, i personaggi «incasinati»
non sono campioni di simpatia), con una conoscenza dei processi di
famiglia che rende il giovane autore un teste privilegiato e fa del
suo film un esame sul tasso medio di solitudine americana: anche quelli
del Central Park piangono.
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