Father and Son (Soshite Chichi Ni Naru)
Hirokazu Kore-Eda - Giappone 2013 - 2h

premio della Giuria


  Premio della giuria capitanata da Spielberg a Cannes 2013, Father & Son del cinquantenne giapponese Kore-eda Hirokazufilm successivo in archivio rilancia lo stesso tema che aveva già commosso l'anno prima nel film franco-israeliano Il figlio dell'altra. Lo scambio di neonati nella nursery di un ospedale scoperto ad anni di distanza. Sei anni nel film giapponese, molti di più nell'altro dove però si aggiungeva un secondo motivo: le due famiglie erano una arabo-palestinese e l'altra ebrea-israeliana. Qui la differenza è di status sociale, che in parte si rispecchia nel contrasto tra la freddezza del padre più ricco, architetto, e il calore di quello più povero, venditore di materiale elettrico; ma senza eccessi di semplificazione. E il nodo che sconvolge le vite dei genitori risiede nel dilemma tra legame di sangue ed effettiva esperienza, acquisito patrimonio affettivo. Il confronto, condotto attraverso le cerimoniose consuetudini giapponesi, porta alla luce e attraversa tutte le sfumature possibili…

Paolo D'Agostini - La Repubblica

  Con un soggetto simile in America avrebbero fatto un film sullo scontro tra culture e sarebbero volate pallottole, in Italia una commedia con Fabio De Luigi e Luca Argentero, in Francia una storia cupa di sesso e ricatti. Per fortuna invece Father and Son lo ha girato il giapponese Hirokazu Kore-eda, 51 anni («e padre da 5», tiene a precisare), aficionado dei grandi festival ma poco noto in Italia, che con questo film limpido solo in apparenza ha conquistato un premio a Cannes. E sedotto il presidente della giuria, Steven Spielberg, pronto a acquistarne i diritti per un remake. Fatica sprecata.Father and Son è perfetto così. Perché Kore-eda proietta l'eterna favola del figlio scambiato in un paese lontanissimo dal nostro per educazione, cultura, senso del decoro e delle regole sociali. Ma proprio per questo capace di svelare i sentimenti più segreti, scavando sotto le apparenze, con una tenacia e insieme una dolcezza che cercheremmo invano in un film statunitense o europeo. Un esempio di ciò che il cinema giapponese, e più in generale asiatico (pensiamo al coreano Poetry, o all'hongkonghese A Simple Life), ha sempre fatto meglio di quello occidentale. E non solo per la delicatezza del tocco, che riconduce i conflitti più laceranti nella cornice delle buone maniere, ma per la precisione chirurgica delle inquadrature. Da sempre attento ai bambini, che dirige meravigliosamente, e al loro punto di vista, stavolta infatti Kore-eda cambia ottica per raccontare tutto con gli occhi dei padri (del primo in particolare, che ha il percorso più accidentato). Salvo ribaltare di colpo la prospettiva con la scena, semplicissima e geniale, in cui il padre scopre le foto fattegli dal figlio mentre dormiva. Difficile essere più semplici e profondi insieme. Come tutto questo film, che non smette di porre la stessa domanda, piccola e immensa: quando è, di preciso, che si diventa padri?

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

      


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Architetto cool, Ryota ha una famiglia da Mulino Bianco, una Lexus in garage e un appartamento da catalogo di design. Tutto bene, finché la bella mogliettina non riceve una telefonata dall'ospedale dove aveva partorito: Keita, 6 anni, non è il loro figlio. C'è stato uno scambio, e quello naturale è finito in una famiglia modesta in tutto e per tutto (tranne che nei sentimenti)… Quella del giapponese Kore-eda è una regia capace di svelare i sentimenti più segreti, scavando sotto le apparenze, con una tenacia e insieme una dolcezza ammirevoli. La struttura minimalista della narrazione, la luminosa nitidezza delle immagini si adattano naturalmente al gioco di opposti: un tema non nuovo, ma elaborato con sensibilità, tenerezza ed emotività coinvolgenti.

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 LUX - aprile 2014

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