Straordinariamente fotografato con un rigorosissimo, elegante, austero bianco e nero che fa pensare a maestri del calibro di Robert Bresson e Ingmar Bergman, poetico e privo di qualunque retorica, sostenuto da una solidissima regia impreziosita dagli intensissimi primi piani della protagonista (la bellissima, magnetica Agata Trzebuchowska alla sua prima prova sul grande schermo), Ida, il film del polacco Pawel Pawlikowski distribuito nelle nostre sale da Parthénos, è una di quelle opere che pochissimo concedono allo spettatore. Eppure l'intimo dramma di Ida sullo sfondo di un paese scosso dalle turbolenze della propria storia, le contraddizioni che è chiamata a superare, la forza di perdonare l'imperdonabile e una coraggiosa scelta da affrontare hanno conquistato il pubblico e la giuria di numerosi festival internazionali, tra cui Londra, Varsavia, Toronto e Torino dimostrando come il buon cinema, quello fatto di idee forti seppure difficili, arrivi facilmente al pubblico non sempre anestetizzato da proposte banali e omologate dal mercato. |
Alessandra De Luca - Avvenire |
I film 'difficili' si dividono in due categorie: quelli coerenti e necessari e quelli astrusi e mistificatori. Ida del polacco operante in Inghilterra Pawlikowski, che appartiene tassativamente alla prima, va difeso dalla scure del mercato e recuperato, con la predisposizione giusta, da più spettatori possibili perché il suo austero bianco e nero non è inquinato da retorica, la sua scabra ambientazione trasmette un'intensità pressoché fisica e la sua ricostruzione di certe anse dimenticate o occultate della Storia non concede scappatoie né prevede consolazioni. (...) La regia, che in più di un tratto stilistico rievoca il cinema raffinato e morboso dei giovani Polanski e Skolimovski o dell'implacabile Kieslowski del Decalogo, tratta le figure come sentimenti, sceglie le angolature di ripresa pregnanti anziché quelle 'belle', profonde una musica maestosa peraltro misurata sui silenzi e non abusa mai dell'afflato mistico bensì lo fa sgorgare direttamente dallo sguardo delle sue attrici sconvolgenti. Il cui pathos di pura eloquenza - quella che non ha bisogno di essere abbellita o declamata - schiva l'esercizio compiaciuto delle metafore d'autore per potere affermare sullo schermo e nella memoria del pubblico un senso della trascendenza ben più audace e assoluto di quello imposto dalle ambigue religioni riparate sotto l'egida cattolica, ebrea, nazista o comunista. |
Valerio Caprara - Il Mattino |
promo |
Polonia, 1962. La 18enne Anna, un orfana cresciuta in convento, ha deciso
di farsi suora. Tuttavia, poco prima di prendere i voti, scopre di avere
una zia ancora in vita, Wanda, la sorella di sua madre. Insieme a lei la
ragazza affronterà un viaggio alla scoperta di se stessa e del proprio
passato: scopre, infatti, di avere origine ebraiche e che il suo vero nome
è Ida; inoltre, sua zia è un ex pubblico ministero comunista, responsabile
di numerose condanne a morte nei confronti di religiosi. Mentre Anna va
alla ricerca della verità sulla sua famiglia, Wanda deve confrontarsi con
le decisioni prese ai tempi della guerra e che ancora la perseguitano. |
LUX - aprile 2014 |