Il figlio dell'Altra (Le fils de l'Autre)
Lorraine Lévy - Francia 2012 - 1h 45'

   Ci sono film che rischiano a ogni passo di finire ostaggio del loro soggetto. Succede quando il cinema prende di petto la realtà con tutte le sue contraddizioni anziché renderla più leggibile seguendo le leggi di questo o quel genere, commedia, thriller, melodramma, eccetera. Quando poi qualcuno porta la macchina da presa in Medio Oriente, i rischi diventano altissimi. Eppure proprio Israele ci ha dato alcuni dei più bei film di questi anni. Per originalità di scrittura, densità del tratto, verità dei personaggi. Come se la massa di problemi che pesa su ogni centimetro di ogni inquadratura costringesse i registi a fare i conti fino in fondo con ciò che riprendono (in Israele ogni immagine è politica, per definizione). Figuriamoci cosa succede se una regista francese, ebrea non praticante, decide di aggiornare la favola dei figli scambiati in culla alla situazione odierna di Israele. Immaginando cosa accadrebbe se un giorno due coppie, una israeliana e una palestinese, scoprissero che i figli oggi 18enni allevati con tanto amore sono in realtà figli «degli altri», ovvero del «nemico». (...) La metafora e la predica para-politica sono in agguato. Invece - miracolo - il film di Lorraine Lévy non cade in nessuna di queste trappole. E se non sempre vola altissimo, ci conquista scena dopo scena pedinando in tutta semplicità e con un pizzico di benedetta ingenuità la vita quotidiana di queste due famiglie, comprensibilmente sconvolte dalla scoperta. Evitando tutte le tentazioni «massimaliste» (...) per affidarsi al buon senso, alla pazienza, alla speranza custodita naturalmente dalle madri, più che dai padri, e dai figli. Non un capolavoro, ma un film fragile e insinuante, ravvivato da attori eccellenti, che sceglie e percorre la via del cuore con coraggio e coerenza.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

   Preso (...) come un invito alla (ri)conciliazione, come un'utopica prefigurazione di possibile convivenza, il film ha una sua ragione di essere; e la Levy mostra buona mano nell'ambientare e orchestrare i contrastanti quadri familiari. Ma al contempo la sceneggiatura resta in superficie e gli intricati nodi, degni di una tragedia greca, si sciolgono con quella disinvolta facilità che sempre assolviamo nel cinema hollywoodiano, perché lì il gioco rientra nei dichiarati parametri della fiction; mentre da una realistica pellicola europea pretendiamo maggior rigore e profondità.

Alessandra Levantesi Kezich - La Stampa

promo

Mentre si prepara a partire per il servizio militare con l'esercito israeliano, Joseph scopre che suo padre e sua madre non sono i suoi veri genitori, ma che alla nascita è stato scambiato per errore con Yacine, dato invece a una famiglia palestinese in Cisgiordania. La rivelazione sconvolge improvvisamente le esistenze di tutte e due le famiglie costrette riconsiderare non solo le rispettive identità, ma anche i loro valori e le proprie convinzioni... La metafora e la predica para-politica sono in agguato, ma il film di Lorraine Lévy non cade in nessuna di queste trappole e conquista scena dopo scena pedinando in tutta semplicità e con un pizzico di ingenuità la vita quotidiana delle due famiglie e affidandosi al buon senso, alla pazienza, alla speranza custodita dalle madri. Un film fragile e insinuante, ravvivato da attori eccellenti, che sceglie e percorre la via del cuore con coraggio e coerenza.

cinélite giardino BARBARIGO: giugno-agosto 2013