Avreste
mai pensato di "dover
dire grazie agli anni di piombo"? Eppure la situazione politica
sfociata in questo funesto
2012
ha creato in molti un rigetto viscerale verso l'inaffidabile classe
dirigente eletta, verso un governo supplente capace sì di tamponare
la crisi ma crocifiggendo vieppiù il ceto medio-basso e lasciando
nel paradiso dei privilegi quanti percepiscono quella crisi solo come un
fastidioso pulviscolo che si deposita sulla giacca piuttosto che
come un
devastante fallout che lacera le vesti del quotidiano e brucia la
pelle del vivere.
A chi lo ha dovuto subire, partecipando ad un progetto di
risanamento iniquo, declinato contro ogni logica di legalità,
solidarietà e uguaglianza, è rimasta in fondo solo la rabbia. E il
rischio è che un sovraccarico di rabbia sfoci in aberranti
reazioni. Ne ha fatto le spese qualche ufficio di Equitalia, ma non
si è arrivati, grazie al cielo, a organici gesti estremi di violenza né di terrorismo.
Questo
perché,
a quanto pare, vale ancora il principio che "la storia insegna"
e nel percepire che la dinamica
de "il male per il male" è un'aberrante assurdità
sta oggi il vero
"bene comune".
La memoria delle insane atrocità degli anni di piombo è ciò che può
oggi, taumaturgicamente, spegnere sul nascere ogni deriva malsana.
Accanto alla speranza che tale memoria non si offuschi mai c'è
quella che la ricetta di risanamento governativo non si
poggi soltanto sullo slogan dell' "inevitabile rigore" o su un
dibattito costituzionale fine a se stesso. Il capitalismo (lo si
scopre oggi?) è un serpente che si mangia la coda. I consumi calano
perché strozzati dal deficit della gente comune e senza consumi
l'economia va in stallo. Ma è vero bisogno sociale il consumo al
quale ci eravamo abituati, è un coerente dictat morale l'idea che “se noi
stiamo meglio dei nostri padri i nostri figli debbono stare meglio di
noi?”
L'unica vera ricetta per un futuro che non faccia esplodere il
malcontento sempre più diffuso è un'equa distribuzione dei diritti e
delle
ricchezze. Non lo capisce l'economia mondiale, ci aspettiamo che lo
capiscano i nostri attuali politici, attaccati in primis alle loro
poltrone, poi ai loro vitalizi e ai loro privilegi? La classe
politica che otterrà il consenso popolare alle prossime elezioni si
spera troverà tempo e voglia per guardare non ai propri interessi, ma
a quelli di chi li ha insigniti di una
carica istituzionale di così grande responsabilità. |