Il 17
ottobre è purtroppo deceduto, in seguito a
un investimento da parte di un taxi nel centro di Tokio, il grande
regista Koji Wakamatsu. Nato nel 1936, dopo aver svolto le più
svariate attività, anche come operaio e fattorino, si era unito ad una
gang yakuza, scelta che gli era costata il carcere. E fu proprio in
prigione - come egli raccontò - che maturò la scelta di dedicarsi al
cinema, per denunciare le violenze di cui era stato testimone dietro
le sbarre.
Autore di culto di numerose pellicole di genere - tra cui pinku eiga,
i softcore giapponesi e polizieschi pulp – nel 1965 fondò la casa di
produzione Wakamatsu Production, che realizzò, tra le altre cose,
Ecco l'impero dei sensi, la
pellicola scandalo diretta da Nagisa Oshima nel 1976.
Proprio quest'anno Wakamatsu aveva presentato due pellicole in due
importanti festival come Cannes e Venezia: a Cannes il tragico
11/25 The Day Mishima Chose His Own Fate,
mentre tra i titoli della sezione Orizzonti della 69esima Mostra del
Cinema di Venezia figurava il bellissimo
Sennen no yuraku
(The Millennial Rapture).
“Vivere è soffrire molto. Dobbiamo vivere finchè moriamo. Per
questo non posso fare a meno di creare.”: sono le parole con cui
Wakamatsu ha presentato il suo film a Venezia.
Tratto da un famoso romanzo giapponese
Mille anni di
piacere
di Kenij Nakagami, pubblicato in Italia da Einaudi, racconta la storia
di una famiglia di uomini bellissimi, nelle cui vene scorre sangue
“nobile ma empio”, sempre in bilico tra l’amore per la vita e
l’attrazione per la morte, posseduti da una colpa che ignorano, ma che
fa parte della maledizione che grava sul clan Nakamoto, cui
appartengono, che domina sulla piccola comunità Roji, completamente
isolata ed emarginata dal resto del paese. Le loro vite vengono
rievocate in punto di morte da una vecchia donna, la levatrice Oryu,
che li ha visti nascere, crescere, amare e morire giovani ad uno ad
uno e che nel film non è solo la testimone dei loro brevi destini, ma
anche l’incarnazione di un dolente fatalismo e di una saggezza
ancestrale.
Wakamatsu ha realizzato il film con l’elegante raffinatezza del più
classico stile giapponese, senza tuttavia rimunciare a stupire lo
spettatore, ponendolo di fronte a scene e situazioni molto crude e
scabrose.
|