È con
The Lodger - A Story of the London Fog (1926)
che Alfred Hitchcock comincia a mettere a fuoco la cifra che diventerà
inconfondibile in quasi tutti i suoi film successivi:
un’atmosfera carica di tensione, di insostenibile attesa, di
paura e di pathos. Il film ha un grande successo e attira
l’attenzione sul giovane regista, il quale, dopo aver
diretto alcuni film non memorabili, coglie di nuovo il
bersaglio con
Blackmail (1929), girato ancora muto e subito
dopo sonorizzato senza apparenti dissonanze, cioè senza
nulla cedere delle sue atmosfere thrilling, rese acute da un
artifizio esemplare: la parola «knife» (coltello) iterata
fino al parossismo. Il successo non lo abbandonerà più, e di
lì in avanti girerà — senza perdere un colpo, se non
raramente — un numero incredibile di film, buona parte dei
quali nella natia Inghilterra, dove rimarrà fino alla fine
degli anni ‘30. È qui che il regista si fa definitivamente
le ossa in un genere come il thriller, che frequenterà
sempre, con poche eccezioni. Solidamente ancorato al genere,
procede in una continua messa a punto di canoni — la
suspense, il mistero, l’azione ecc. — che contribuisce a
rendere classici, sottoponendo al tempo stesso le pratiche
della messa in scena a un perenne affinamento, tale da
rendere immediata e insieme complessa la lettura dei suoi
film. In opere come
Murder (1930) o
The Man Who kKnew
Too Much (1934) — quest’ultima una delle migliori
del periodo «inglese» — il rigore strutturale e
l’accuratezza minuziosa della costruzione degli stati di
tensione si mostrano subito capaci di coinvolgere lo
spettatore in una trama psicologica che sempre lo
presuppone, facendone un elemento essenziale del gioco
filmico. In Young
and Innocent
(1937), per esempio, è gia anticipata una delle
chiavi della «fenomenologia» hitchcockiana, vale a dire
l’imponderabile casualità come fonte dell’incubo. Qui
Hitchcock struttura una narrazione squisitamente
antideduttiva (in cui è negato il meccanismo del giallo) per
concentrare l’interesse su una sorta di dialettica
dell’accidentalità. Allo spettatore è nota fin dall’inizio
l’innocenza del protagonista accusato di omicidio. Solo per
caso il plot si scioglierà [...]
.
The Thirty-Nine
Steps (1935),
Sabotage
(1936), The Lady
Vanishes (1938), sono tra i più riusciti film che
precedono il passaggio di Hitchcock a Hollywood, avvenuto
anche a causa delle condizioni non esaltanti del cinema
inglese alla vigilia della seconda guerra mondiale.
È il produttore D.O. Selznick che riesce a convincerlo a
trasferirsi, affidandogli la regia di
Rebecca
(1940). Il film vince l’Oscar, e Hitchcock si trova la
strada immediatamente spianata. Comincia a girare un film
dietro l’altro, tra cui
Foreing
Correspondent(1940),
Suspicion
(1941),
Saboteur (1942),
Shadow of a Doubt (1943),
Lifeboat (1944),
Spellbound (1945). Non scostandosi quasi mai dalle
modalità del thriller e della suspense, il regista in realtà
bersaglia nel profondo la psiche dello spettatore,
scaraventandolo repentinamente in un universo di fantasmi e
di incubi. Procede così — al di là della consuetudine del
genere— verso la messa in campo di una sottile strategia
dell’angoscia che si rivela capace di seminare inaudite
turbolenze nelle profondità dell’inconscio.
[...]
In
Notorious, uno spionistico ad alta tensione C. Grant
e I. Bergman si producono in una performance antinazista
costantemente tenuta in equilibrio spasmodico, lui agente
segreto che convince lei, pur amandola, a sposare uno dei
capi dello spionaggio tedesco per meglio controllarlo, in un
intreccio di melodramma, passione e suspense al calor
bianco. Successivamente è la volta di pellicole «minori»,
quali
Stage Fright (1950),
I
Confess (1953), ma anche di grande intensità emotiva
come
Stranger on a Train (1951) [...]
Con il famosissimo
Psycho (1960), in cui si mostra una volta di più
capace di esaltare le strutture del thriller sconvolgendo
alcune delle convenzioni più inveterate del cinema di
intrattenimento. Per esempio., facendo morire la
protagonista femminile dopo soli quaranta minuti; oppure
impiegando una settimana per girare la celebre sequenza
dell’accoltellamento della stessa protagonista nella doccia.
Ma certo ancora una volta il nodo cruciale del film converge
sul tema del doppio, o meglio, dello sdoppiamento schizoide
generato dalla patologia psichica del protagonista maschile,
fortemente intrisa di venature edipiche. Gestore di un motel
sperduto nel deserto dell’Arizona, oppresso da uno shock
familiare, in realtà l’uomo è dominato solo dal proprio «io»
uscito «fuori di sé». Ed è certamente questa scissione,
elaborata da Hitchcock con una con disseminazione quasi
maniacale di tracce inquietanti, che proietta lo spettatore
in una dimensione emotiva bruciante... |