L'Oriente
colpisce ancora
Circa un anno
e mezzo fa riflettevamo sullo storico risultato al botteghino italiano di
The Eye,
il film dei fratelli Pang che, uscito a metà maggio del 2003
(distribuzione Eagle), era riuscito a conquistare la vetta della nostra
classifica.
Era la prima volta da tempo immemore che un film orientale non
otteneva un simile risultato, e da allora, le società di distribuzione
hanno cambiato sensibilmente politica: oggi non è più raro vedere sui
nostri schermi cinema di genere proveniente da Est, per la maggior parte
film coreani (in ordine decrescente di successo,
Phone,
Two Sisters,
Tube
e compagnia).
Ma oggi le cose sono di nuovo cambiate. Se
The Eye
si confrontava con una concorrenza tutto sommato poco competitiva, ad
ottobre, proprio all’inizio del periodo di punta, di massimo afflusso nei
cinema italiani, è uscito, su oltre 300 schermi (altro record),
Hero
di Zhang Yimou, per giunta datato 2002, sedendosi nuovamente sul trono
della classifica, spodestando un cinema americano multimilionario e
raccogliendo una cifra che si aggira sui trecentomila spettatori, per
circa 1,7 milioni di euro. Un risultato che ha dello straordinario, specie
per un wuxiapian (film di cappa e spada), genere che da noi fa
fatica ad arrivare. E’ vero, bisogna considerare il battage pubblicitario
che ha accoppiato ad
Hero
il nome di Quentin Tarantino (“Quentin Tarantino presenta”:
l’etichetta ambigua, senza la quale il film sarebbe uscito tagliato di
venti minuti, è stata messa dai fratelloni Weinstein della Miramax per
l’uscita americana, a cui è seguito peraltro uno straordinario successo,
oltre 50 milioni di dollari), ma va sottolineato che il suo weekend
d’apertura è stato superiore addirittura ad entrambi quelli dei volumi
di
Kill Bill.
Questo risultato è solo la punta di un iceberg, che segnala la
penetrazione ormai inarrestabile del cinema orientale in Occidente, in
Europa, nel nostro Paese. E non si tratta di un fenomeno che riguardi
esclusivamente il cinema di genere (cosa che sarebbe di per se una novità
in un mercato sfiduciato verso dei tratti somatici non wasp): nel
giugno scorso, per la prima volta in Italia, ha avuto regolare
distribuzione un film del grande cineasta coreano Kim Ki-Duk,
Primavera,
estate, autunno, inverno... e ancora primavera. Il film di Kim ha
raggranellato circa centomila spettatori ed è comparso ancora nella classifica dei più visti della settimana per alcuni mesi.
Certo,
Primavera... corrisponde ad un
certo stereotipo del cinema orientale, un po’ alla
Perché Bhodi Dharma è
partito per l’Oriente?: tempi lunghi, silenzi, argomento vagamente
religioso... ma sono tutti aspetti che comunque il film si lascia indietro, per
arrivare ad un’essenzialità ben superiore alla somma delle singole parti.
Insomma, il film ha a suo modo aperto una strada, così come ha saputo
fare, come autore, lo stesso Kim Ki-Duk, che nel giro di pochi mesi ha vinto 2 premi per la regia
con due film diversi in due dei maggiori festival europei: gli
splendidi
Samaria (Berlino 2004) e
Binjip-3iron (Venezia 2004).
Entrambi i film sono stati acquistati per una distribuzione italiana e la
recente ottima uscita di Ferro 3 consola solo in parte per il destino non
sempre luminoso che accompagna certi premi veneziani (Oasis di Lee
Chang-Dong, che nel 2002 a Venezia vinse lo stesso riconoscimento, ebbe
nelle sale italiane solo una fugace apparizione).
Come se non bastassero i premi di Berlino e Venezia, anche Cannes 2004 ha
visto il trionfo di un film coreano: Si tratta di
Oldboy di Park Chan-Wook,
un cineasta tra i maggiori del suo Paese, autore di un capolavoro visto in
Italia solo sulle pay-tv (Sympathy for Mr. Vengeance), e di
un grande mystery-thriller ancora inedito da noi,
JSA-Joint Security
Area. Il cinema di Park, anch’esso in arrivo sui nostri schermi, si
conquisterà sicuramente una sua nicchia di pubblico, e non è da escludere
che la campagna pubblicitaria faccia leva un’altra volta su Quentin
Tarantino, che ha spinto per la sua premiazione come
presidente di giuria. D'altronde anche il resto del mondo si sta accorgendo del cinema coreano: in USA il
superkolossal di guerra
Tae guk gi
ha raggiunto il milione di dollari di incasso!
E per quanto riguarda gli altri paesi asiatici? Da poco è arrivata sui
nostri schermi l’ultima opera di un maestro della nouvelle vague di Hong
Kong, Wong Kar Wai, 2046, che, in una sessantina di copie ha totalizzato
al suo esordio duecentomila euro, e si può apprezzare la sua
Mano
nel film
collettivo
Eros,
di cui Wong firma l’episodio più convincente. Ma è soprattutto
il mercato dell’home video a scoprire (anzi, riscoprire) l’ex colonia
britannica, con le edizioni in DVD di trilogie, come quelle di
A Better
Tomorrow e
A Chinese Ghost Story, prima reperibili solo in maniera
incompleta, e di filmografie prima lacunose, come quella di John Woo (a
partire dal 1986) con titoli come
Once a Thief
e soprattutto
Bullet in
the head, capolavoro assoluto del regista. Anche se si tratta di
edizioni non prive di pecche (e di extra), è già un passo avanti dai tempi
della completa impossibilità di accostarsi a tali cinematografie.
La notizia davvero sensazionale
è arrivata però da pochissimo: nei primi mesi del 2005 l’etichetta
Quinto Piano editerà in DVD trentotto perle tratte dagli archivi degli
Shaw Brothers, i produttori che hanno contribuito a fondare il cinema
moderno di Hong Kong. Sarà finalmente l'occasione per vedere con
cognizione di causa gli albori di una cinematografia che per decenni è stata
tra le più interessanti e innovative al mondo (partendo dai titoli
capitali di King Hu e Zhang Che!).
Segnaliamo ancora come qualche minuscolo cenno lo stia dando anche il cinema thailandese,
che dopo qualche timidissima uscita (Le
lacrime della tigre nera di Wisit Sasanatieng,
Love song di Pen-ek Ratanaruang) ha visto discreti risultati al
botteghino con l’uscita estiva di
Ong bak.
Ma siamo ancora in attesa di
vedere, ad esempio, il bel
Last Life in the Universe, ancora di Pen-ek
Ratanaruang (presentato a Venezia '60 e più volte rinviato) che, fra l’altro,
ha tra i suoi protagonisti l’attore giapponese più interessante degli
ultimi anni, Tadanobu Asano.
Dal Giappone, infine, tutto tace, se si eccettua l’interesse, ormai cult, per
il solito Kitano (Zatoichi). Basti pensare all’uscita “fantasma” di
A Snake of
June di Shinya Tsukamoto...
L'attesa è per gli straordinari film d’animazione presentati all'ultimo
festival di Venezia (di Miyazaki e Otomo) e chissà che qualcuno si decida a fare arrivare sui
nostri schermi qualche altro titolo della sterminata filmografia di Takashi Miike
(oltre a
The Call, unica
uscita italiana tra sessanta e passa titoli!) o di autori
misconosciuti come Kiyoshi Kurosawa e Hirokazu Kore-eda.
Ci sarà pur qualche effetto positivo in questa chiacchieratissima globalizzazione?
Pietro Liberati |
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