Si
conclude Cannes e la nostra attenzione è ferma al
Bergamo Film Meeting,
riesplode la Matrix-mania e il nostro entusiasmo è ancora per
La 25a ora... La cadenza di
MC magazine
fa da alibi, ma è anche vero che l’esibizione sulla Croisette è
stata definita quest’anno "sottotono" e che l'esclusione dal
palmares di von Trier non ha certo contribuito all'immagine
del Festival: all'uscita italiana di Dogville e Elephant
(Gus Van Sant) cercheremo di tornare sull'argomento... E vale
la pena di estendere il black-out critico anche a
Matrix Reloaded, visto che il nuovo film dei Wachowski non ha
convinto neppure i fan più accaniti e che incombe, "risolutoria", la
visione del conclusivo sequel-B!
Di rimando, a Bergamo, la retrospettiva Simenon (col solito
prezioso catalogo del festival) si è proposta come uno stimolante
vademecum per riscoprire un cinema di genere inebriato da un
background letterario di raffinata complessità e lo splendido film
di Spike Lee, da solo, fa "testo" per una fiduciosa ricomposizione
di un'idea di cinema made in USA "adulto", scevro da ottusi
nazionalismi e retoriche giovaniliste. A margine, tra le altre
notizie cinematografiche, uno sfizio sportivo
(questo sì attualissimo) non poteva mancare! |
Brutta
bestia il tifo calcistico. Ti imbatti in interisti rancorosi
che sperano nella Juve
per umiliare gli odiati cugini, ti capita di assistere alla
finale spalla a spalla con impavidi "spiriti zebrati"
e li scopri incancrenirsi in vane recriminazioni (ammonizioni
trascurate, un movimento di troppo fatto da Dida) per tamponare
la cocente delusione di aver visto la propria squadra perdere,
più che la partita, il bandolo del proprio, tonico gioco.
"Da fuori", senza il pathos di una fede viscerale,
ci si può intenerire nell'agognato appagamento di campioni
come Ancelotti, Nesta e Rui Costa, emozionare per l'incontenibile
propulsione di Gattuso, per la superba (anche se "inutile")
prestazione di Buffon... Certo è che il Milan,
pur con gli sprazzi di inizio stagione, non è la squadra dell'anno,
ma centellinando energie e tattica ha saputo meritatamente
far sua la coppa più ambita.
Nel cuore asettico di un non-tifoso ciò che resta comunque
è l'impressione di una finale "amara", è l'indimenticabile
ricordo dell'inebriante semifinale (Juve-Real) e delle lacrime
"premonitrici" di Pavel Nedved!
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La 25a ora
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Essere e
avere
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Il
Bergamo Film Meeting,
nel panorama delle manifestazioni cinematografiche italiane più di
rilievo, è uno degli appuntamenti annuali più seguiti e di sempre
crescente successo: circa sedicimila le presenze di quest’anno!
Giunto alla sua ventunesima edizione, continua, nel tempo, la sua
opera di scavo, di scoperta, di riproposta di talenti nuovi,
dimenticati tra gli autori e/o di pellicole mai presentate in
Italia. Molti gli eventi, dunque, le personali e, forse, più
importanti le retrospettive: favolosa, semplicemente, quella di
quest’anno, dedicata al centenario della nascita di Georges Simenon,
giallista e scrittore belga, nato il 13 febbraio del 1903, basata su
di un corpus di oltre 25 film trasposti dalle sue opere,
alcuni dei quali addirittura inediti in Italia. Oltre quattrocento i
romanzi da lui stilati insieme con alcune migliaia di racconti:
davvero titanico il suo lavoro da cui il cinema spesso ha attinto in
generale e, più specificamente, per una delle figure più ‘sacre’ che
quasi si identificano con la storia stessa del cinema, quella del
commissario Maigret, presente in celluloide fin dall’avvento del
sonoro.
Ha ragione Angelo Signorelli, direttore con Emanuela Martini del
Bergamo Film Meeting, quando, tra l’altro, nel pezzo
introduttivo a
Georges
Simenon…mon petit cinéma,
la monografia dedicata all’Autore, afferma che “…C’è poca luce
nei romanzi di Simenon, ma è diffusa una penombra spessa…Ci sono le
atmosfere giuste perché l’incontro con il cinema sia inevitabile… Le
trasposizioni cinematografiche dei suoi romanzi si sono sempre
allontanate, chi più, chi meno, dagli originali, in particolare per
ciò che si riferisce agli sviluppi narrativi ed alla definizione dei
personaggi. Forse uno dei motivi di questo ‘tradimento’ ricorrente
sta nel fatto che la maggior parte delle opere di Simenon è ‘troppo’
cinematografica, ha già in sé tanti elementi che appartengono alla
struttura della costruzione filmica…”, un po’ quello che accade
ai romanzi di Marguerite Duras, anch’essi nell’impianto (trionfo di
sintesi), nelle frasi "fotografiche" (nette e spezzate), già
racconto visivo, già film.
Non a caso fu lo stesso Simenon ad adattare (una ‘traduzione’ per
evitare un primo ‘tradimento’?) per lo schermo – anche
sceneggiatore, quindi, come lo fu la Duras stessa – il primo Maigret
(primo anche come film in genere) dei quasi settanta tratti dai suoi
testi, intitolato
La nuit du carrefour, diretto dal suo
amico, il grande Jean Renoir, presente nella retrospettiva
bergamasca.
Tanti, tantissimi i registi, i migliori della storia del cinema
francese (e, comunque, internazionale) da Renoir in poi: doveroso
citare Henry Decoin, Jean Delannoy, Marcel Carné, Pierre
Granier-Deferre, Maurice Tourneur, Jean-Pierre Melville, Patrice
Leconte,
Bertrand Tavernier,
Claude Chabrol. Tanti anche gli interpreti da
ricordare, Maigret e non, ma su tutti uno brilla in modo
particolare, Jean Gabin, indelebile maschera simenoniana,
dramatis personae più che unica, autentico alter ego al
quale il ‘nostro’ Gino Cervi, pur grande, deve cedere lo scettro (e
non solo) della primogenitura.
Commosso e puntiglioso il convegno conclusivo di Bergamo coordinato
da Emanuela Martini: presenti Gianni Da Campo, amante e
collezionista di tutto quanto "fa Simenon", e critici “storici”
quali Goffredo Fofi e Claudio G.Fava: “...Fu naturale
l’internazionalità in Simenon, (…) lui scrittore popolare un po’
alla Scerbanenco, per trovare un paragone italiano ’calzante’, che
partì dal basso (la piccola provincia belga, i piccoli, meschini
parenti che tanto bene seppe raccontare e sviscerare
psicologicamente, adombrando, in tante sue opere, gli affetti di
casa, i più stretti) per arrivare alla metropoli (Parigi) ed alle
sue problematiche quotidiane,…”. Una ‘gavetta’ scrittoria
notevole, seppur tormentata, anche e soprattutto a livello personale
che, comunque, gli valse un successo ampiamente meritato a vari
livelli, “segnando” il gusto e la sensibilità di autori e
intellettuali. Come ha ribadito, tra il serio ed il faceto, lo
stesso Fava “Simenon è fondamentale, ha formato anche… la mia
vecchiaia!”.
Maria Cristina Nascosi
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"Contagio" orientale |
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In
questa stagione 2002/2003, in cui il cinema italiano
è tornato a dominare le vette delle classifiche,
sono non pochi i segni di un cambiamento importante
nei gusti del pubblico. Le cinematografie orientali
sono tra i protagonisti di questo cambiamento: negli
ultimi anni, accanto a maestri riconosciuti a livello
internazionale come
Zhang Yimou, Wong Kar-Wai, e Takeshi
Kitano, hanno cominciato ad affermarsi in Occidente
nuove leve, piccoli autori di un cinema finanche
popolare, in un certo senso, che si sono affacciati
con successo su mercati che fino ad un decennio
fa sembravano inespugnabili da un prodotto che non
fosse nazional-popolare o a stelle e striscie.
Senza soffermarci sulla "diaspora hongkonghese"
della metà degli anni '90 (quella che ha portato
all'emigrazione ad Hollywood di
John
Woo prima, Kirk Wong, Ringo Lam, Tsui
Hark, Ronny Yu poi), possiamo dire che, nel giro
di sette-otto anni, una certa concezione Occidentale
di cinema ha subito influssi provenienti dall'Oriente.
Oggi ogni film d'azione americano che si rispetti
ha il suo coreografo orientale (Yuen Woo-Ping, che
ha lavorato nella serie di Matrix,
è diventato una specie di guru), mentre le cinematografie
asiatiche in ascesa (sostanzialmente tre: sudcoreana,
giapponese, tailandese, a cui si aggiunge quella
hongkonghese, anche se molto ridimensionata rispetto
anche solo a sei anni fa) riescono a conquistarsi
un posto al sole nei festival maggiori e, cosa ben
più importante, nei mercati occidentali. Francia,
Spagna, e oggi anche Italia (gli USA meritano un
discorso a parte: più che mostrare distribuendo,
girano remake), accolgono con sempre maggior favore
film come Shaolin Soccer
(anche se tagliato di 25' dalla Miramax che ne ha
comprato i diritti di distribuzione internazionale,
e doppiato in Italia noi in maniera ignobile), che
ha raggranellato oltre 250 mila spettatori sia da
noi che oltralpe. Spesso si tratta di molti piccoli
casi, che spesso non vanno al di là delle 10 copie
(i coreani Ebbro di donne
e di pittura e
Oasis, il taiwanese
Incrocio d'amore), ma ogni tanto film
come Dolls
di Kitano (novantamila spettatori) e
La
città incantata di Miyazaki (centocinquantamila
spettatori) riescono a ritagliarsi un giusto spazio.
Quest'ultimo in particolare, dopo il Premio Oscar
e l'Orso d'oro Berlino, sta contribuendo ad aprire
gli occhi su un altro "buco" occidentale,
il cinema d'animazione, ancora sottovalutato e sminuito
da pregiudizi e malintesi storici difficili da sradicare
(pochi, ad esempio, ricordano che all'origine dello
stesso Matrix
c'è un film d'animazione giapponese largamente saccheggiato,
Ghost in the Shell
di Mamoru Oshii, mentre dietro al secondo si sentono
fortissimi influssi di Metropolis
di Rintaro). Sono inoltre da poco disponibili in
edizione italiana i DVD di Ringu
e Ringu 2 di
Hideo Nakata, mentre da Hollywood arrivano notizie
di nuovi remake di altri film dello stesso autore
(il primo, per cui sono già stati ingaggiati Robert
De Niro e Benicio del Toro, sarà Chaos
di Jonathan Glazer, da Kaosu,
1999), sulla scia del successo del The
Ring americano, che ha acceso l'interesse
del pubblico (ma anche di molta critica) verso il
cinema di genere giapponese (Kyoshi Kurosawa, in
concorso all'ultimo Festival di Cannes e anch'egli
prossimo protagonista di diversi rifacimenti, rimane
invece ancora completamente sconosciuto in Italia).
Il segno più importante del cambiamento dei gusti
del pubblico è recentissimo, e deve aver dato da
pensare non poco agli addetti ai lavori: qualche
settimana fa, mentre in tutto il mondo trionfava
X-men 2 con
cifre da capogiro, in Italia la Eagle Pictures faceva
uscire in oltre 200 copie The
Eye, dei fratelli Oxide e Danny Pang.
Coproduzione tra Hong Kong, Tailandia e Singapore,
ghost story raffinata anche se tutt'altro che innovativa,
The Eye ha incassato
un milione di euro nel suo primo week-end, conquistando
la vetta della classifica nostrana (nella storia
recente, è la prima volta che succede per un film
non americano né europeo) con una media per sala
decisamente alta (circa 4600 euro) per un periodo
difficile come maggio. Il film dei Pang Bros non
ha vinto premi come altri successi provenienti da
Est (La
tigre e il dragone contava su quattro
Oscar, In
the Mood for Love su due premi a
Cannes), non è diretto da un autore noto, non ha
nomea di film d'essai, ma è riuscito ad imporsi
tranquillamente sulla concorrenza, sfruttando anche
la voglia di brividi che ultimamente prende il pubblico
italiano quando arriva l'estate.
Potrebbe essere il primo gradino di una nuova era, in cui il
pubblico italiano potrà finalmente vedere quella parte di
mondo che i media nascondono (salvo poi scoprirla per creare
psicosi come quella recentemente scatenata dalla SARS),
trovando anche un'alternativa a quel cinema americano
standardizzato prodotto dai grandi studios che sembra arrivato
ormai alla frutta. Sicuramente è ancora troppo presto per fare
previsioni, anche se nei listini delle case di distribuzione
fa capolino qualche titolo come The
Sea Watches di Ken Kumai (da una sceneggiatura di
Akira Kurosawa) e So Close
di Corey Yuen. Ma è comunque lecito porsi la domanda: qualcosa
è cambiato?
Pietro Liberati
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